domenica 2 aprile 2017

Lavoro, follie e calcetto

La settimana appena conclusa si è distinta, tra i vari avvenimenti, per le polemiche sul solito Ministro Poletti che colpisce ancora con la sua inadeguatezza. E più che un politico, mi sembra di avere dinnanzi un comico che si avvale di pessimi autori, tanto le sue espressioni sono fuori luogo e in grado di generare estenuanti infiniti dibattiti. Perché, ovviamente, non contento della prima gaffe, ha continuato a parlare, oltre che di calcetto, anche di relazioni sociali e volontariato.
Forse è il caso di cominciare a chiarirsi un po' le idee. A mio avviso, il concetto espresso da Poletti è abbastanza banale e, in un certo senso, fa breccia in un punto nevralgico del mondo lavorativo.
Che i rapporti di fiducia (se così vogliamo chiamarli) siano spesso necessari per poter avviare un'attività lavorativa è un qualcosa di cui, ormai, siamo purtroppo tutti convinti. Si sente spesso dire, infatti, che per trovare lavoro bisogna conoscere qualcuno, che senza le opportune relazioni non si va da nessuna parte.
Dunque, il diffuso convincimento che il mondo del lavoro si basi fin troppo sul cosiddetto "familismo" di certo non aveva bisogno di un Ministro che, invece di sottolineare l'importanza del curriculum, ha finito per degradarlo parlando di occasioni di lavoro nate durante una partita di calcetto. Soprattutto, alla presenza di tanti giovani che iniziano a prendere confidenza con il mondo del lavoro, anche se con un progetto scolastico, quale l'alternanza scuola – lavoro, di cui spesso gli stessi ragazzi lamentano il malfunzionamento.


Un'azienda privata non è un ente di beneficienza, questo è abbastanza ovvio. Il nostro ordinamento costituzionale sancisce espressamente che l'iniziativa economica privata è libera, pur nei limiti del rispetto dell'utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Dunque, in un'ottica liberale, tale attività è preordinata al raggiungimento del profitto e, a tal fine, l'azienda ha bisogno di figure professionali adeguate, magari da formare, ma che rispondano alle esigenze produttive.
In tale contesto, il curriculum non può perdere la sua importanza e dovrebbe svolgere il suo ruolo primario di suscitare l'attenzione di un direttore delle risorse umane che dietro quel foglio cartaceo o elettronico potrebbe non vedere soltanto un anonimo bisognoso di assunzione, ma una personalità ricca di sfumature con il suo complesso bagaglio di studi, interessi, esperienze. La convinzione che le persone più adatte possano essere rintracciate nelle cosiddette "relazioni sociali" può far perdere di vista le professionalità migliori.
Lo Stato, invece che favorire le realtà lavorative basate sul familismo, dovrebbe ricordarsi un po' più spesso del suo ruolo costituzionale (tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni) e favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, sostenere i giovani nei loro spostamenti sul territorio nazionale alla ricerca di opportunità, convincere e incentivare le aziende a rischiare nel selezionare le professionalità di cui hanno bisogno, andando al di là della cerchia dei "soliti noti".
Tutto questo nel cosiddetto "libro dei sogni". Nella realtà, continuiamo ad avere un Ministro che, invece, si ostina a dire che per lavorare bisogna giocare a calcetto, fare volontariato e diventare amici di qualcuno. Intanto le professionalità migliori continuano ad andare all'estero lasciando che il nostro Paese affoghi completamente.


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