domenica 9 aprile 2017

La corrida: tradizioni secolari e fanatismi

Credo di esprimere un sentimento abbastanza diffuso (non solo tra gli animalisti), affermando che la corrida, che mette contro toreri e tori per puro divertimento, è uno spettacolo esecrabile, crudele, di cattivo gusto.
Certamente, si tratta di una tradizione secolare, accompagnata da rievocazioni poetiche e letterarie (mi viene in mente Hemingway), ma ciò non implica che una crudeltà efferata debba continuare a esistere.
Leggo che il toro è un animale mansueto per natura, ma che in occasione della corrida viene rinchiuso per ore e poi, una volta liberato per il combattimento, si ritrova disorientato in mezzo alla confusione. E viene, quindi, torturato e ucciso per il macabro divertimento del pubblico che assiste e decide alla fine delle sorti dell'animale.
Tuttavia, in alcuni casi la sorte si capovolge, il toro reagisce e il torero finisce per avere la peggio; come accaduto pochi giorni fa, in cui un giovane torero è stato colpito alla gola dal toro e ridotto in fin di vita.


In tali occasioni, che si stanno ripetendo abbastanza frequentemente, io non condivido, in ogni caso, il comportamento di chi alla notizia gioisce, esulta, festeggia e dice "per una volta ha vinto il toro". In questa manifestazione, a mio avviso, non ci sono mai vincitori. Tori e toreri sono strumenti all'interno di un bieco sistema in cui prevalgono interessi di tipo economico, politico e turistico.
A chi dice che il torero se l'è cercata, che nella sua vita poteva fare altro e dedicarsi a diversi mestieri, io oppongo alcuni dubbi. Sto leggendo, infatti, da più parti che i toreri tramandano in genere la propria attività di padre in figlio e che i ragazzini vengono addestrati fin dall'età di sette anni, nell'ambito di ineludibili tradizioni familiari. Coloro che crescono in tale clima di fanatica ed esasperata esaltazione di forza, coraggio ed eroismo, riescono difficilmente a intravedere una prospettiva diversa e a ribellarsi, a non farsi travolgere da una tradizione pericolosa per la propria incolumità, oltre che crudele verso un animale che, senza alcuna effettiva esigenza, viene privato della propria dignità e diviene oggetto di pubblica derisione.
Magari, chi si ribella lo fa quando è troppo tardi, come il torero colombiano Alvaro Munera (conosciuto come “El Pilarico”) che, incornato da un toro durante una corrida nel 1984, riportò lesioni alla spina dorsale che lo resero paraplegico. Munera è diventato da allora un membro del consiglio della sua città natale Medellin, sostiene i diritti dei disabili e promuove le campagne anti-corrida.
Per concludere, mi auguro che le morti dei toreri non siano più momenti di gioia per qualcuno (considerato che anche per me questo è fanatismo), ma un'occasione di riflessione che possa portare ad abolire definitivamente tale crudele e pericolosa tradizione, che in alcune regioni spagnole sembra già essere stata messa al bando. Nella speranza che gli interessi politici ed economici non ostacolino il raggiungimento di tale risultato.

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