mercoledì 31 maggio 2017

L'addio in lacrime del capitano e un po' di retorica

Premetto che non sono romanista, anzi in realtà non sono neanche un gran tifoso di calcio, per cui difficilmente mi faccio coinvolgere.
Eppure, quando ho assistito al commiato in lacrime di Francesco Totti, circondato dall'affetto evidente dei tifosi, non solo non mi sono affatto stupito, ben conoscendo la grande passione dei romani per il loro capitano, ma mi sono anche un po' intenerito.
Più che Totti, mi hanno fatto tenerezza i tifosi, mi hanno indotto a pensare che esiste ancora tanta gente che ha i propri miti, punti di riferimento in cui credere (al di là delle mode passeggere) e, fortunatamente, non è ancora completamente disillusa da tutto ciò che la circonda.
Guardando Totti, mi è venuto, poi, in mente un altro capitano, Paolo Maldini, che anni fa si licenziò dalla sua carriera di calciatore (anche lui fedele alla stessa maglia per tanti anni) in un'atmosfera non del tutto serena, con alcune contestazioni e fischi. Una situazione abbastanza triste per un ragazzo che, a dispetto di tutto ciò che si può pensare di un calciatore, ha dato molto ai suoi tifosi e ha ricevuto in cambio poca gratitudine. In fondo, Totti può considerarsi davvero fortunato ad avere avuto cotanta tifoseria che lo ha riempito di affetto fino alla fine.
Per il resto, ci può stare un po' di ironia da parte di coloro che hanno ritenuto tali manifestazioni leggermente esagerate. Tuttavia, le persone che indulgono continuamente nell'indignazione, fissano priorità e si lasciano andare ad affermazioni del tipo "invece di pensare alle cose serie, ai poveri, ai disoccupati!" mi lasciano sempre un po' perplesso perché non riesco a capire bene il nesso. Più che altro, mi ricordano, per un certo verso, quelli che dicono "invece di pensare agli animali, pensate alla fame nel mondo". E, magari, loro non pensano né agli animali, né alla fame nel mondo.


giovedì 25 maggio 2017

Per rabbia e per amor di polemica

Capita di provare rabbia sul posto di lavoro, di essere particolarmente stressati, di prendersela con i colleghi, specialmente se non collaborativi, di essere scontenti e nervosi nei confronti dei capi, di ricevere seccature dall'esterno. D'altronde, lo stress lavorativo non è un'invenzione recente.
Magari vi è il rischio di trascendere, di andare oltre il livello di guardia. Certo, non capiterà a tutti, poiché ognuno avrà un diverso modo di reagire, ma accade. Sicuramente, non è un bene per la nostra salute, non è bello nei confronti degli altri, con i quali vorremmo mostrarci sempre sereni, sorridenti, pacati. Ma, purtroppo, la nostra condizione di esseri umani può portarci anche a questo. E, di certo, la gogna mediatica non è la punizione migliore.
Fatte queste premesse, non ho davvero intenzione di avventurarmi nella polemica sulle frasi pronunciate da Flavio Insinna, che avrà certamente sbagliato, ma rimane per me un professionista di buon livello. Una polemica che, comunque, continua a imperversare, considerato che diversi utenti social amano introdursi con ardore e insistenza in qualunque discussione, per ambire alla laurea in Tuttologia.


Invece, vorrei innescare una piccola polemica su programmi come Striscia la notizia o le Iene che, a volte, pur di ottenere scoop clamorosi, non esitano a svergognare chiunque, magari prendendosi rivincite personali e utilizzando mezzi poco ortodossi (chi ha spedito il fuori onda a un'azienda concorrente, come ha giustamente sottolineato Selvaggia Lucarelli?). In alcuni casi, sono state svelate alcune truffe, ma in altre situazioni, certi servizi esaltanti non solo hanno creato inutili polemiche, ma hanno procurato anche danni: mi viene in mente il servizio delle Iene sul caso Unar, un chiaro esempio di informazione distorta. Come sempre, c'è chi, pur di ottenere clamore mediatico, calpesta la dignità delle persone.

venerdì 19 maggio 2017

La lotta contro l'omofobia tra pregiudizi e leggi dimenticate

Mercoledì si è celebrata la giornata mondiale contro l'omotransfobia, ricorrenza promossa dall'Unione europea nel 2004. Una giornata interamente dedicata alla sensibilizzazione, un momento importante per puntare l'attenzione contro pregiudizi e stereotipi, contro chi ancora crede che esista un "diverso" di cui aver paura o nei cui confronti sentirsi superiori, un "diverso" che si vorrebbe osteggiare in ogni modo. E il mio pensiero è rivolto, in particolare, a una piccola parola, a una semplice congiunzione, quel "ma" di chi nega per sé la condizione di omofobo, ma poi spalanca la porta verso un sconfinato mare di avversione, ignoranza, pregiudizio. Un "ma" che dovrebbe iniziare a sparire.


Sul tema dell'omofobia, ho letto qualche tempo fa un bell'articolo scritto dal giornalista Giovanni Fontana nel suo blog "Distanti saluti", in cui affermava che l'omofobia è una parola non corretta, che lascerebbe intendere che l'unica fonte di odio verso gli omosessuali sia la paura, mentre "il disprezzo per gli omosessuali ha molte forme: la repulsione, l’odio diretto, l’ignoranza schietta, il conformismo che ride del diverso, e in generale un approccio acritico, che non si domanda davvero che bene o male possa fare un omosessuale, ma si affida a quello che ne pensa l’ambiente che si ha attorno. E l’ambiente è spesso maschilista, banale, ferocemente canonico". Nel post si racconta la storia, poco nota in Italia, di Graeme LeSaux, calciatore inglese oggetto di una vera e propria persecuzione da parte dei suoi compagni di squadra, convinti che fosse gay, e, subito dopo, da parte delle tifoserie. Che il ragazzo non fosse realmente gay era solo un dettaglio, tutti avevano deciso, in base ai giornali che leggeva, alla musica che ascoltata, agli amici con cui andava in vacanza, che era omosessuale e che per questo doveva diventare oggetto di continuo dileggio e disprezzo.
Sappiamo bene che episodi simili di persecuzione ve ne sono tanti in Italia e finiscono sui giornali soltanto quando la vittima oggetto di tali vessazioni decide di togliersi la vita. Per non parlare degli episodi di pestaggio (a Roma intorno alla zona del Colosseo erano molto frequenti in un certo periodo) da parte dei cosiddetti "uomini veri", che di umano non hanno nulla.

E, accanto a tali episodi di violenza, non possiamo dimenticare quell'omofobia strisciante propria dei moralisti e perbenisti che, nella loro intolleranza, organizzano manifestazioni incentrate sull'odio, volte a negare diritti. Ricordo ancora che l'organizzatore principale di tale manifestazione (Gandolfini), di fronte ai suicidi di giovani omosessuali, suggerì di "spingerli verso l'eterosessualità".
La lotta contro l'omotransfobia non può quindi concludersi in una sola giornata, ma continuare giorno dopo giorno. Per questi motivi, c'è bisogno in Italia di una legge che contrasti tali fenomeni, punendoli severamente, oltre a una campagna di sensibilizzazione.
Attualmente, vi è un disegno di legge che giace in Parlamento, un testo presentato dall'Onorevole Scalfarotto del PD approvato dalla Camera dei Deputati nel settembre del 2013, poi trasmesso al Senato: la discussione in Commissione Giustizia è, tuttavia, ferma dal mese di luglio del 2014.
Il testo prevede reclusione e multe per chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi fondati sull'omofobia o transfobia, per chi istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per i medesimi motivi, per chi partecipa ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza basata sull'orientamento sessuale. Viene, in ogni caso, fatta salva la libertà di opinione ed espressione (tutelata, comunque, dalla Costituzione), purché non si istighi all'odio o alla violenza.
La discussione è ferma in Senato a causa dell'ostruzionismo, neanche a dirlo, dei partiti di destra (soprattutto la Lega) che temono che venga lesa la libertà di opinione, nonostante le salvaguardie stabilite dalla legge stessa. In sintesi, i politici hanno paura che, andando in giro a dire che i gay sono malati e che le unioni civili sono contro natura, qualcuno possa fargli causa. Tuttavia, non si preoccupano minimamente che tanti ragazzi possano essere picchiati o indotti al suicidio, non è quella la loro priorità.
Sappiamo bene, purtroppo, che le discussioni parlamentari somigliano sempre più a un poco edificante teatrino di manovre politiche, dettate da squallidi interessi di parte, in cui i diritti ed i sentimenti di persone vere passano in secondo piano. La speranza è che le parole pronunciate dal Presidente Mattarella possano smuovere tale situazione di stallo.

lunedì 15 maggio 2017

Se la diffamazione corre sul web

La storia di Alfredo Mascheroni fa davvero rabbia per tanti motivi. Qualcuno arriva di punto in bianco e, per uno stupido scherzo, per idiozia, per cattiveria, decide di infangare la reputazione di questo ragazzo diffondendo una falsa notizia e dicendo in giro (mediante la condivisione di una sua foto su Facebook e su Whatsapp) che si tratta di un pedofilo. La gente, come spesso accade, non si pone troppi interrogativi, abbocca e continua a condividere la foto di Alfredo, contribuendo a diffondere questa diffamazione.
Quindi, il gesto perfido ed estremamente stupido di un singolo si diffonde senza misura attraverso la rete che ne amplifica la portata passando attraverso tutti coloro che, come spesso accade, senza alcuna prova e senza riflettere neanche un attimo, tendono a farsi giustizia da soli, a ergersi a giudice, giuria e boia, insultando il povero Alfredo, lanciando parole come fossero sassi e continuando a diffondere tale falsità.
Alfredo gestisce un bar che, come si può vedere dalla foto, in queste ore è stato colpito dai vandali che ancora continuano a spargere infami bugie. Purtroppo dallo spazio virtuale i problemi si sono spostati alla realtà materiale.


In tali occasioni, si è portati a inveire contro Internet e i social, demonizzandoli e considerandoli causa di ogni male. Tuttavia, occorre riflettere sul fatto che si tratta soltanto di strumenti che, se ottimamente impiegati, possono essere estremamente utili, agevolando la nostra vita, favorendo la diffusione di nozioni e testi culturali, consentendoci di girare per il mondo senza muoverci dalla nostra stanza.
Chiaramente, dietro tale realtà virtuale possono esserci persone profondamente cattive, stupide o ignoranti, che sono comunque le stesse che agiscono nella vita reale, fanno del male agli altri, diffondono fandonie, insultano o adescano soggetti deboli e facilmente influenzabili.
Se ci pensiamo, la diffamazione via social non è molto diversa dalle false voci o dai pettegolezzi che venivano diffusi di bocca in bocca, specialmente nei piccoli paesi, anche prima dell'avvento di Internet. Forse, la differenza sta nella rapidità con cui si raggiunge l'obiettivo, ma il loro effetto finale è identico: distruggere l'immagine e la reputazione di una persona impedendogli di vivere serenamente. In sintesi, non sono gli strumenti a creare i problemi, ma le persone che compiono il male nella realtà, sia essa materiale o virtuale.
Tramite la polizia e il blogger David Puente, Alfredo sta cercando di risolvere l'assurda situazione in cui si è trovato. E la speranza è che si arrivi presto a una soluzione.

domenica 14 maggio 2017

Aforismi – L'invasione dei social media

"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli" (Umberto Eco)

Umberto Eco, il famoso scrittore e semiologo scomparso da pochi mesi, non era certamente una persona che le mandava a dire. Il suo pensiero sui social media è, per certi aspetti, condivisibile, anche se non va interpretato come "un'arrogante manifestazione di cultura elitaria", come qualcuno ha detto.
In proposito, io sono convinto che ognuno di noi abbia il diritto di esprimere la propria opinione, purché ciò avvenga con cognizione di causa, ovvero parlando di argomenti noti, sui quali vi sia qualcosa di sensato da dire e, soprattutto, con toni educati e pacati. E non vi è nulla di male se i social media ci consentono di diffondere tale opinione con immediatezza e rapidità.
I social possono essere molto utili anche per favorire la diffusione di informazioni su argomenti di attualità e cultura. Infatti, molte testate giornalistiche hanno una propria pagina Facebook che consente di condividere i principali articoli del giorno. Numerose sono, poi, le pagine dedicate ad argomenti di filosofia, letteratura, scienza.
Io stesso ho creato su Facebook un gruppo per condividere con gli amici recensioni di libri, citazioni, articoli di letteratura, in una sorta di "biblioteca virtuale".
La rete offre una marea di informazioni, per cui ciò che conta è sapersi orientare, individuare fonti attendibili e scegliere ciò che più si adatta alla nostra personalità, senza per questo rinunciare ai libri di carta, ma magari trovando spunti per leggerne di nuovi.


Poi, però, arrivano gli imbecilli di cui parla Eco, che possono tranquillamente essere suddivisi in varie categorie. Anzitutto, ci sono i troll, che non sono solo gli abitanti demoniaci dei boschi della tradizione scandinava, ma anche utenti spesso anonimi che si inseriscono nell'ambito di discussioni on line con messaggi provocatori e fuori contesto, al solo scopo di creare irritazione.
Quindi, ritroviamo i "leoni da tastiera", generalmente non anonimi, che esprimono la propria opinione in maniera offensiva, riempiendo di insulti chiunque non incontri il loro gradimento. Leoni che, tuttavia, nella vita reale sono solo pecorelle. Infine, vi sono i fake e tutti coloro che amano diffondere bufale e false notizie, magari dietro profili taroccati.
La realtà virtuale è talmente vasta che non è possibile tenerla sotto controllo, per cui è quasi impossibile non imbattersi in informazioni poco attendibili o in utenti truffaldini. Ed Umberto Eco aveva proprio questo in mente quando pronunciò quella frase.
Sappiamo, però, che i pericoli del Web vanno ben oltre una notizia taroccata. Spesso alcuni utenti vi si affacciano ingenuamente confidando nella buona fede altrui e si ritrovano invischiati in situazioni sgradevoli e umilianti. La storia di Tiziana Cantone dovrebbe insegnare qualcosa.
Non si tratta solo di video diffusi a propria insaputa. I malfattori di Internet cercano di soggiogare i soggetti un po' più deboli, inducendoli in una condizione di sudditanza psicologica. Mi capita spesso, girando per la Community, di leggere di persone che si sono ritrovate in balia di personaggi infami che li hanno costretti in una specie di "schiavitù virtuale", che può essere molto pericolosa, specialmente se l'obiettivo è estorcere denaro o prestazioni sessuali.
Allora, occorre fare attenzione alle notizie poco attendibili, ma anche ai soggetti poco affidabili.



(Inizialmente pubblicato su Libero Blog in data 9 ottobre 2016)

Finalmente giustizia per Sara.

È trascorso quasi un anno dal brutale assassinio di Sara di Pietrantonio, quel terribile episodio che ha profondamente scosso l'opinione pubblica. Sara si era innamorata, aveva provato brividi e sentimenti tipici di una storia appena sbocciata. Poi, però, le cose erano andate diversamente. Lei aveva capito che i sentimenti possono finire e le storie avere un termine, ma il suo ex fidanzato Vincenzo non aveva alcuna intenzione di farsene una ragione. Pensava che lei fosse di sua proprietà e che nessuno avrebbe mai potuto prendere il suo posto o avvicinarla. E così, una terribile sera di giugno, Sara è stata uccisa e il suo corpo è stato dato alle fiamme. Una morte crudele procurata da un essere privo di coscienza.
Della morte di Sara avevo parlato l'anno scorso, soffermandomi sull'indifferenza di coloro che quella sera non si erano fermati ad aiutarla e sui problemi di una società che spesso non riesce a provare empatia per il prossimo. Tuttavia, adesso il tema è un altro.
L'assassino di Sara è stato condannato all'ergastolo e, salvo successivi sconti, pagherà la giusta pena per ciò che ha commesso. Molte persone, a tale annuncio, hanno reclamato l'introduzione della pena di morte per un reato del genere, ma io non sono assolutamente d'accordo. E non lo dico semplicemente per un motivo religioso, pur essendo convinto che nessuno abbia il diritto di provocare la morte di un altro, qualunque cosa abbia fatto, salvo rari casi. Sono contrario alla pena di morte perché credo che la detenzione in carcere debba servire al condannato a ripensare spesso a ciò che ha commesso, al dolore che ha provocato ai familiari della propria vittima, alla crudeltà con cui ha annientato una vita.


Sono pienamente d'accordo, poi, con coloro che affermano che il carcere non debba in generale avere una funzione meramente punitiva, quasi fosse una vendetta o una rivalsa della società nei confronti del condannato, considerato che, come recita l'articolo 27 della nostra Costituzione, le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Una rieducazione necessaria ai fini della futura reintroduzione dei carcerati nella società.
Mi chiedo, comunque, se il carcere potrà riuscire davvero a svolgere questa funzione rieducativa nei confronti di Vincenzo. Di fronte a un ragazzo che ha agito con tanta crudeltà e che non ha mostrato alcun segno di pentimento, mi riesce davvero difficile pensare ad un suo futuro reinserimento nella società. Di certo, dovrà ripensare al male compiuto, anche se questo non consentirà ai genitori di Sara di riavere indietro la loro ragazza.

Qui sotto l'estratto del precedente post inizialmente pubblicato nel blog "Un faro nella nebbia" e sopra citato

La vera indifferenza (pubblicato in data 8 giugno 2016)

In questi giorni, il terribile omicidio di Sara ha notevolmente scosso l'opinione pubblica che ormai si esprime quasi principalmente attraverso i social. La mia impressione, condivisa anche da altri utenti, è che le principali invettive questa volta siano state indirizzate, almeno in una prima fase, alle auto che quella maledetta sera sfrecciavano veloci, indifferenti alle richieste di aiuto della ragazza.
Io mi auguro, invece, che non si dimentichi mai, anche se sono trascorsi alcuni giorni e la coscienza popolare sembra essersi tranquillizzata, che la povera Sara è stata l'ennesima vittima di quella terrificante "cultura" della violenza e del maschilismo di coloro che credono di poter disporre degli altri come fossero oggetti.
Addossare gran parte della responsabilità ai passanti, che non si sono fermati per paura o incapacità di realizzare cosa stesse realmente accadendo, significa distogliere l'attenzione dal vero problema della inarrestabile violenza contro le donne e, più in generale, contro tutti coloro che non sono in grado di difendersi. Persone come Sara andrebbero aiutate prima di ritrovarsi sul ciglio di una strada a fuggire da un maniaco incendiario o in preda ad un compagno folle che fa bere loro soda caustica per farle abortire, come accaduto in provincia di Bologna.


Io credo, poi, che la vera indifferenza più che tra quei passanti, debba essere ricercata altrove, assieme ai motivi da cui questa indifferenza trae origine.
Non condivido l'affermazione secondo cui è la società che ci ha resi ciechi e indifferenti, perché si tratta di una banalità sconcertante: siamo noi a creare la nostra società e possiamo migliorarla grazie al contributo collettivo, considerato che le istituzioni sociali non sono una mera entità esterna che ci viene imposta dall'alto. Affermare che la colpa è tutta della società significa semplicemente tentare di lavarsi la coscienza.
La vera indifferenza sta nella incapacità di ciascuno di noi di capire se le persone che ci sono vicine ogni giorno hanno realmente bisogno di aiuto. Questo non vuol dire necessariamente dar loro un po' di denaro, perché a volte è sufficiente una parola di sostegno o di conforto. Non significa nemmeno diventare eroi - come diceva Manzoni, se uno il coraggio non ce l'ha non se lo può dare – anche se certamente acquisire quella consapevolezza che ci porta a chiamare le forze dell'ordine ogni volta che avvistiamo una situazione di pericolo potrebbe essere già un bel traguardo.
Quando il Papa ha parlato di indifferenza, molti si sono concentrati su alcune sue parole, ritenendo che stesse invitando i fedeli a non amare gli animali, mentre il suo vero obiettivo era far comprendere che spesso siamo talmente presi dalle nostre vite che ci dimentichiamo di chi ci sta vicino.
Un episodio di alcune settimane fa, cui i notiziari hanno dato solo un breve cenno, è un esempio drammatico della vera indifferenza. Un uomo è stato ritrovato in casa morto da almeno cinque anni. Nel frattempo, nessuno si era accorto di nulla, né si era chiesto cosa fosse accaduto a quell'uomo che non si faceva vedere da anni. I vicini non hanno mai pensato di andare a bussare a quella porta per chiedere se ci fosse bisogno di aiuto. Una perdita d'acqua e il successivo intervento dei vigili del fuoco hanno rivelato quella situazione di estrema solitudine e abbandono.
Credo che questo non sia un caso isolato, chissà quanti episodi simili, seppure non così estremi, si verificano quotidianamente. Ma difficilmente potremmo saperlo con certezza, perché questi episodi generalmente non fanno notizia, se non poche righe nei giornali locali, e non finiscono in pasto agli pseudo moralisti da salotto che dalle loro comode posizioni non fanno altro che condannare la società senza poi compiere alcuna azione concreta per cambiarla.
Questa frase di Einstein dice più di tanti discorsi.



sabato 13 maggio 2017

Ospitalità e intolleranze quotidiane

Le recenti parole pronunciate da Debora Serracchiani sono ormai abbastanza note. Praticamente, a suo avviso, uno stupro è sempre un atto odioso, ma se commesso da un rifugiato, è moralmente e socialmente più inaccettabile.
Io credo che queste parole, più che razziste, debbano considerarsi inopportune. Si tratterebbe, infatti, di un ragionamento basato su una certa filosofia secondo cui il sentire comune avvertirebbe come particolarmente fastidiosa l'ingratitudine di un ospite. E, a mio avviso, questo ragionamento è connotato da una certa ipocrisia.
Se, per un atto spontaneo di generosità o in forza di eventi contingenti, dovessi decidere di ospitare un forestiero nella mia casa, sarei ben consapevole di non potermi davvero fidare a occhi chiusi di lui, non avendolo mai visto prima, a meno che io non sia completamente ingenuo o fuori dal mondo. In tal caso, cercherei di stare attento, adotterei le mie precauzioni e, qualora il mio ospite dovesse rivelarsi davvero un delinquente e dovesse, comunque, commettere un reato a mio danno, lo denuncerei in modo che paghi per il male commesso. Di certo, non cadrei dalle nuvole urlandogli scandalizzato "che ingrato!", considerato che, nel momento in cui ho deciso di dargli ospitalità, ero consapevole del rischio che potevo correre. Oltretutto, saprei bene che un criminale non ha certamente a cuore il valore della gratitudine.
Allo stesso modo, uno Stato che apre i propri confini e fa entrare persone provenienti da Paesi in guerra, disperati che fuggono dalla povertà oppure immigrati in cerca di lavoro, dovrebbe sapere bene che non tutti sono brave persone, che tra di loro vi saranno alcuni delinquenti come accade in tutte le popolazioni. Il rischio esiste, per cui quando un rifugiato o un immigrato commette un crimine, è abbastanza ipocrita e inutile parlare di "rottura di un patto di accoglienza" o di violazione di valori, considerato che, come ho detto prima, nessun criminale, italiano o straniero, ha davvero desiderio di rispettare quei valori. L'ipocrisia è ancora più evidente se si pensa che chi fugge spesso lo fa perché nel suo Paese c'è una guerra che le stesse forze occidentali hanno contribuito a fomentare. E di certo l'Italia non è esente da colpe.


Certamente, lo stupro è sempre un crimine odioso e, dovendo operare una differenziazione, io direi che è moralmente e socialmente più inaccettabile (e in alcuni casi penalmente più grave) una violenza perpetrata da chi ha la piena fiducia della vittima (un parente, un amico, un insegnante, un prete), a prescindere dalla sua nazionalità.
In ogni caso, si deve pretendere da tutti, in maniera indistinta, il rispetto delle regole giuridiche e morali, per cui non è accettabile l'affermazione secondo cui "ho accolto il rifugiato, mi aspetto quindi da lui il massimo rispetto delle regole", perché potrebbe lasciare intendere che non si pretende lo stesso rispetto delle regole dagli altri, dando adito alla becera mentalità secondo cui, se stupra l'immigrato deve essere linciato, se stupra l'italiano figlio di buona famiglia, è solo una ragazzata.
Le frasi della Serracchiani sono inopportune anche perché, se un politico lancia un proclama "lo stupro è più grave se lo commette un rifugiato", finisce per assecondare i pregiudizi di tutti coloro che cercano di utilizzare gli immigrati come capro espiatorio per ogni problema al fine di ottenere consenso, che pensano che siano gli unici a delinquere o che vengano in Italia per rubarci il lavoro.
Infatti, se l'immigrato che sta nel mio quartiere cerca di integrarsi pulendo le strade, mentre la giunta comunale latita, allora tutti si precipitano a dire che c'è un racket dietro; se un immigrato ha un lavoro e un reddito, allora secondo qualche quotidiano, certamente troverà il trucchetto per pagare un centinaio di euro di tasse in meno. Tutto questo, mentre diversi italiani evadono per miliardi ed esportano capitali all'estero.
Nessuno nega che esista un problema di gestione dei flussi immigratori, ma i problemi di certo non si risolvono con i proclami inutili e dannosi che fomentano i pregiudizi e agevolano i procacciatori di voti.



Qui sotto l'estratto di un precedente post: chiaramente le riflessioni sono molto simili

La terra è un solo paese, siamo onde dello stesso mare (pubblicato in data 12 giugno 2016)

Pochi giorni fa un mio amico ha pubblicato su Facebook questa foto scattata nel Parco Sigurtà, antico giardino nei pressi di Peschiera del Garda, le cui origini risalgono al 1400.
La foto ritrae una targa con un chiaro messaggio di fratellanza "La terra è un solo paese, siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino".


Dovrebbe essere davvero così, la terra dovrebbe essere un unico paese senza rigidi confini in cui vivere in pace, ma sappiamo bene che la Storia è costellata di guerre fratricide, lotte per la conquista del potere, genocidi, discriminazioni razziali. E si può certamente affermare che gli insegnamenti che la Storia ci ha tramandato non sempre sono stati ben assimilati, considerato il dilagare di nostalgici nazionalisti che mirano a minacciare l'integrazione europea faticosamente raggiunta.
Oggi la situazione dei migranti che fuggono dalla povertà e, soprattutto, dalla guerra non può lasciarci indifferenti. È abbastanza chiaro e pacifico che il problema non sia di facile soluzione e che non possa essere affrontato solo dall'Italia. Ma costruire muri, fatti soprattutto di odio, non è degno di un genere che ha ancora la pretesa di definirsi umano.
Ci sono tanti pregiudizi nei confronti degli stranieri che arrivano in Italia, pregiudizi che dovremmo incominciare a mettere da parte. Anzitutto, non tutti gli immigrati vengono qui per delinquere, come è solito pensare chi "fa di tutta un'erba un fascio". Ci sono sicuramente soggetti pericolosi o malintenzionati, ma questi individui si trovano in tutte le popolazioni, inclusa quella italiana, e spesso occupano posizioni al di là di ogni sospetto. Certamente, se iniziassimo a mandar via o a punire seriamente tutti coloro che compiono atti illeciti (stranieri e non), il Parlamento italiano rimarrebbe semivuoto.
Si dice sempre, poi, che gli stranieri vengono qui a rubarci il lavoro. In realtà, mi viene da pensare che quasi sempre finiscono per fare quei lavori che gli Italiani si rifiutano ormai di svolgere o per i quali non sono sempre all'altezza. Ricordo che tempo fa l'impresa che ha realizzato alcuni lavori a casa nostra mandò un muratore rumeno che svolse il suo operato in maniera precisa, ineccepibile, sicuramente meglio di ciò che avrebbero potuto fare i colleghi nostrani. In ogni caso, gli immigrati finiscono spesso per diventare preda degli sfruttatori e vengono utilizzati per lavori di fatica con paghe miserevoli, per non parlar di altro. Basta guardare la situazione di Rosarno.
Infine, una frase che si sente spesso pronunciare negli ultimi tempi è "aiutiamoli a casa loro". In proposito, Giuseppe Civati ha pubblicato di recente sulla sua pagina Facebook questo grafico (tratto dalla Stampa), in cui risulta abbastanza chiaro che, pur in presenza di una legge del 1990 sul controllo delle armi, che ne vieta l’esportazione in Paesi in cui è in corso un conflitto armato, ancora oggi l’Italia vende pistole e fucili in numerosi Paesi. Questa tendenza è aumentata dal 2009, per cui l’Italia ha venduto armi soprattutto in Medio Oriente e nel Nordafrica, regioni tra le più turbolente, mentre le autorizzazioni del Parlamento sono aumentate. Come giustamente sottolineato da Civati, "per la serie: «aiutiamoli a casa loro». Con le bombe. Intanto manca completamente la trasparenza, la serietà, la politica. Poi dopo ci si sorprende delle migrazioni forzate, delle tragedie umanitarie, dei campi profughi, della tensione che non si abbassa mai".
Se è vero che dal 2009 questa tendenza è aumentata con il beneplacito del Parlamento, occorrerebbe ricordare a Salvini, che continua a diffondere messaggi razzisti e xenofobi, che il suo partito faceva parte della maggioranza di Governo in quegli anni. Le morti dei profughi in mare dovrebbero cominciare a pesare sulle coscienze di chi ha favorito questo commercio.

venerdì 12 maggio 2017

Presunti flop e numeri a caso per le unioni civili

È in vigore da circa un anno una legge che disciplina le unioni civili, approvata in Italia dopo un'attesa di tanti anni, con grave ritardo rispetto ad altri Paesi considerati civili, in un contesto di pressioni, ingerenze esterne e compromessi. La legge presenta parecchi limiti e talune discriminazioni, ma alla fine è stata emanata e garantisce determinati diritti.
Ci sono, dunque, tutte quelle persone che hanno atteso a lungo che quella legge fosse approvata. Alcuni di loro hanno deciso di usufruire subito di quei diritti faticosamente (e parzialmente) acquisiti. Altri magari decideranno di aspettare ancora. E, considerato che il diritto implica anche libertà, c'è chi deciderà di non usufruirne affatto.
Ma il diritto esiste, è concreto e attuale e tutti devono avere la possibilità di goderne o meno. Non è certo un fondo che viene stanziato nel bilancio dello Stato e deve essere utilizzato subito altrimenti va "in economia".
Si tratta di ragionamenti forse scontati, ma, a quanto pare, non chiari a tutti. A iniziare dal quotidiano "La Repubblica" che, evidentemente a caccia di nuovi lettori, pochi giorni fa ha deciso di fare i conti della serva, indicando quante coppie hanno deciso di unirsi civilmente in un anno, per far uscire poi un articolo con un titolo abbastanza imbarazzante "Flop delle unioni civili". In pratica, numeri che presi in assoluto non indicano nulla sono serviti per stabilire arbitrariamente che le unioni civili sono state un flop, neanche stessimo parlando di offerte al supermercato.
I diritti vengono, quindi, ridotti a mere cifre da offrire in pasto a soggetti come Adinolfi o Salvini che, con la bava alla bocca, si staranno fregando le mani e non vedranno l'ora di strumentalizzare questa notizia per la loro campagna denigratoria e distruttiva. Bisogna ricordare sempre che il leader leghista, qualora al Governo, non si farà molti scrupoli ad abrogare tale legge, convinto che i diritti garantiti a qualcuno possano danneggiare altri.
È vero che la libertà di stampa è un diritto costituzionale, ma a volte usare il cervello quando si scrive non sarebbe male.