Negli ultimi tempi ho avuto modo di riflettere spesso sulla strana
tendenza italiana a ricercare affannosamente eroi e modelli di vita
in qualunque settore (anche grazie agli spunti forniti da un articolo
dell'Huffington Post di qualche tempo fa, di Riccardo Brizzi - 27
dicembre 2016).
Se, come affermava Bertold Brecht, è "sventurato quel popolo
che ha bisogno di eroi", allora il nostro Paese può
considerarsi assai sventurato. Ci sono, infatti, vari elementi che ci
inducono a cercare un eroe.
La sensazione di vivere in una società priva di valori, in preda
alla malvagità e alla corruzione, ci spinge a cercare persone che
incarnino gli ideali che riteniamo perduti. Inoltre, la paura di cui
ormai siamo circondati a causa dei continui attacchi terroristici ci
induce ad individuare chi possa in qualche modo proteggerci dandoci
una sensazione di sicurezza.
Questa continua ricerca dell'eroe si rivela spesso errata e
fallimentare, soprattutto perché l'eccessiva idealizzazione porta ad
aspettative elevate che il più delle volte rimangono disattese. E
l'errore si rivela fatale quando si scambia per l'eroe perfetto e
irraggiungibile colui che nella sua limitata umanità ha
semplicemente compiuto il suo dovere e, magari, non è alla ricerca
di gloriosi fasti.
Pensiamo all'episodio dei due poliziotti che hanno ucciso il
terrorista di Berlino (citato anche nell'articolo di cui sopra). Due
ragazzi di turno si imbattono casualmente in un pericoloso terrorista
senza immaginare neanche lontanamente chi sia veramente. Cercano di
trattenerlo per i controlli di rito, ma finiscono per ingaggiare con
lui uno scontro a fuoco in cui il terrorista rimane ucciso e uno dei
due poliziotti viene ferito.
Da qui partono gli sperticati elogi verso i due agenti, che insieme
ad altri svolgono quelle operazioni tutti i giorni, con la pericolosa
decisione di diffondere i loro nomi e il tentativo di dar loro onore
e gloria imperitura. Anche per avere qualcosa di cui essere
orgogliosi nei confronti della Germania, che si ritiene in dovere di
concedere un'onorificenza tanto da noi agognata.
Poi, all'improvviso, dagli altari si ripiomba nella polvere. Gli eroi
non sono così perfetti come si credeva, nelle loro pagine Facebook
si mostrano come razzisti e dediti all'adorazione della mussoliniana
figura. Dunque, niente onori e nessuna gloria.
Certamente tali convinzioni politiche non incontrano affatto il mio
gradimento, ma non posso fare a meno di pensare che, se i social non
fossero esistiti o se i due ragazzi non avessero avuto una pagina
Facebook visibile al pubblico, nessuno avrebbe saputo nulla di tali
"ideali". In effetti, quando abbiamo bisogno di soccorso,
non chiediamo a poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri se per caso
hanno tendenze razziste o fasciste, accettiamo il loro aiuto e basta
e li ringraziamo per questo.
A parte ciò, credo che il tentativo di eroizzazione e
personalizzazione sia stato fallimentare in sé. Piuttosto che
concentrarsi sugli onori e sull'orgoglio italico con la diffusione di
nomi e l'invocazione di onorificenze, si poteva semplicemente pensare
ad un modo per ringraziare (materialmente) le Forze dell'Ordine nel
loro complesso, sia per il lavoro svolto che per i pericoli
quotidianamente affrontati. Invece, l'ostinata ricerca degli eroi ha
finito per calpestare quanto di buono fatto.
Tuttavia tale ricerca, nonostante i fallimenti, non conosce sosta e
continua tramite i media indagando in altri settori, tra cui il
pubblico impiego, con esiti ancor più disastrosi. Certamente,
l'opinione pubblica è scossa dalle notizie dei cosiddetti "furbetti
del cartellino", che figurano al proprio posto di lavoro, ma poi
sono in giro a fare gli affari propri con la complicità di colleghi.
Nel tentativo di convincere il popolo che non tutti i pubblici
impiegati sono fannulloni, televisioni e giornali vanno alla ricerca
del lavoratore modello, non semplicemente colui che fa il suo dovere
tutti i giorni, ma lo stakanovista che non prende mai un giorno di
ferie (come il dipendente siculo salito sul palco di Sanremo che,
secondo ultime indiscrezioni, sarebbe un alto dirigente!!!) o che non
si ammala mai o non fa nemmeno una pausa pranzo (come il dipendente
parmense). I giornali elogiano tali "modelli" senza
considerare che ferie, malattie e pausa pranzo sono diritti
costituzionalmente e statutariamente garantiti, frutto di decennali
lotte sindacali (gli stessi giornali che giorni prima si erano
giustamente scandalizzati per l'operaio costretto a farsi addosso,
non avendo nemmeno la possibilità di andare in bagno).
In questo modo, l'opinione pubblica potrebbe per assurdo convincersi
che esistono solo i due estremi, i fannulloni e gli stakanovisti,
ignorando tutti coloro che svolgono il proprio lavoro con dedizione,
ma che, in quanto esseri umani, hanno bisogno di riposo e pause, si
ammalano ogni tanto e usufruiscono, quindi, dei propri diritti. Quei
diritti che i giovani precari vedono con il binocolo, ma che hanno
tutte le ragioni di pretendere, senza subire i ricatti morali di chi
spaccia per modelli coloro che tali non sono. Allora smettiamo di
cercare gli eroi e pensiamo alle persone normali, anche se fanno meno
notizia!