Sono
trascorsi circa due mesi dalle elezioni politiche e fin da subito è
stato chiaro che non sarebbe stato affatto facile formare la
maggioranza necessaria per realizzare un Governo.
Il
Movimento Cinque Stelle appare come l'ago della bilancia: lo si può
considerare come un raggruppamento di incompetenti, inaffidabili,
complottisti, retti da un'associazione privata con cui i suoi membri,
a quanto pare, hanno stipulato una specie di contratto, in barba
all'articolo 67 della Costituzione che vieta il vincolo di mandato;
si può dire ciò che si vuole, ma rimane il fatto che grazie al 33
per cento di voti risulta essere il movimento, che al di fuori di
ogni coalizione, detiene il maggior numero di preferenze, per cui è
con i Pentastellati che bisogna fare i conti.
Dunque,
da settimane proseguono le consultazioni, prima con il Presidente
della Repubblica, poi con il Presidente del Senato, Maria Elisabetta
Alberti Casellati, che dall'alto della sua amicizia con Berlusconi,
ha cercato in modo imparziale (è un ossimoro, ne sono consapevole)
di favorire il confronto tra Centrodestra e Movimento Cinque Stelle.
Confronto, allo stato attuale, fallito per evidenti incompatibilità
tra Di Maio e Berlusconi (eppure la Casellati è stata eletta anche
con i voti dei grillini, ma sono dettagli a quanto pare), sebbene
Salvini non demorda e continui a reclamare il rispetto della volontà
degli elettori (mentre Silvio pochi giorni prima aveva affermato che
gli Italiani hanno votato molto male).
Le
consultazioni sono, poi, proseguite, con il Presidente della Camera,
Roberto Fico, che con le sue passeggiate oceaniche in nome della
sobrietà, ha cercato di favorire il colloquio tra Pentastellati e
PD. Tali forze politiche realizzeranno davvero un Governo, pur con i
loro burrascosi trascorsi, tra insulti e ingiurie? Lo scopriremo tra
pochi giorni.
Da
un lato l'idea che Salvini stia in panchina mi solletica: non mi
entusiasma affatto la prospettiva di un Governo composto da forze
politiche intrise di razzismo, omofobia e oscurantismo. Eppure sono
consapevole che un'alleanza del Centrosinistra con i Pentastellati,
pur con i necessari paletti, potrebbe rilevarsi decisamente
controproducente sotto il profilo elettorale.
Nel
frattempo il Governo uscente retto da Gentiloni, con compiti di
ordinaria amministrazione, ha approvato il DEF. Ricordo brevemente di
cosa si tratta. Il DEF, ovvero il Documento di Economia e Finanza, è
disciplinato dalla legge di contabilità pubblica (legge n. 196 del
2009), è redatto dal Governo per la successiva approvazione del
Parlamento ed è diviso in tre sezioni:
- A) Il programma di stabilità che deve contenere, tra l’altro: gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica almeno per il triennio successivo; l'aggiornamento delle previsioni per l'anno in corso, con gli eventuali scostamenti rispetto al precedente programma; l'indicazione dell'evoluzione economico-finanziaria internazionale, per l'anno in corso e per il periodo di riferimento e ulteriori elementi relativi agli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico.
- B) L'analisi e le tendenze di finanza pubblica, ovvero l'analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni pubbliche nell'anno precedente, accompagnata dalle previsioni tendenziali a legislazione vigente, almeno per il triennio successivo e da un'indicazione delle previsioni a politiche invariate per i principali aggregati del conto economico delle amministrazioni pubbliche riferite almeno al triennio successivo.
- C) Il Programma nazionale di riforma con lo stato di avanzamento delle riforme avviate, gli squilibri macroeconomici nazionali e i fattori di natura macroeconomica che incidono sulla competitività; le priorità del Paese e le principali riforme da attuare.
Il
Governo, proprio perché titolare soltanto di poteri di ordinaria
amministrazione, si è dovuto necessariamente limitare a emanare un
DEF a politiche invariate, privo della parte programmatica delle
riforme. In merito a questo aspetto, occorre ricordare che le forze
politiche che, il 4 marzo scorso, avevano ottenuto i migliori
risultati elettorali, avevano inizialmente rivendicato il compito di
compilare il DEF inserendo obiettivi e riforme in coerenza con il
proprio programma elettorale. Successivamente non hanno mostrato
alcun interesse per tale adempimento, forse nella consapevolezza che
difficilmente avrebbe potuto formarsi un Governo in grado di
realizzare realmente quanto da loro promesso nel corso della campagna
elettorale. A quanto pare, certe sicurezze circa la possibilità di
governare sembrano emergere solo nei proclami.
Per
ciò che riguarda i risultati, si può notare come il DEF evidenzi,
in base alle prime stime ISTAT, una crescita del PIL nel 2017
dell’1,5 per cento in termini reali, in accelerazione rispetto agli
incrementi di circa l’uno per cento dei due anni precedenti. Vi è
una tendenza positiva anche per la finanza pubblica, con
l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche che è sceso
al 2,3 per cento del PIL nel 2017, dal 2,5 per cento del 2016, e
all’1,9 per cento escludendo gli interventi straordinari per il
risanamento del sistema bancario. Il rapporto fra stock di debito e
PIL nel 2017 è diminuito al 131,8 per cento, dal 132,0 per cento del
2016.
Sono
positive anche le prospettive economiche e di finanza pubblica per
l’anno in corso e per i prossimi tre anni. La previsione di
crescita del PIL reale nel 2018 è confermata all’1,5 per cento,
grazie anche a un quadro internazionale più favorevole e a un
livello dei rendimenti (correnti e attesi) sui titoli di Stato
lievemente più basso. La crescita del PIL reale nel 2019 viene
invece leggermente ridotta all’1,4 per cento, mentre quella per il
2020 rimane invariata all’1,3 per cento.
Le
previsioni tengono conto del fatto che la legislazione vigente
prevede un marcato miglioramento del saldo di bilancio, sia in
termini nominali, sia strutturali, miglioramento assicurato da un
aumento delle aliquote IVA a gennaio 2019 e a gennaio 2020,
quest’ultimo accompagnato da un rialzo delle accise sui carburanti.
Nel DEF si afferma che “laddove gli aumenti delle imposte
indirette previsti per i prossimi anni fossero sostituiti da misure
alternative di finanza pubblica a parità di indebitamento netto,
l’andamento previsto del PIL reale potrebbe marginalmente differire
da quello dello scenario tendenziale qui presentato, in funzione di
una diversa composizione della manovra di finanza pubblica”.
Si
ricorda, per inciso, che, come evidenziato da un recente articolo del
Sole 24 ore (Gianni Trovati 24 marzo 2018) il nuovo Governo dovrà
varare necessariamente una manovra da 30 miliardi circa: “12,4
miliardi servono per lo stop agli aumenti Iva dal 1° gennaio,
priorità condivisa da tutte le forze politiche; su altri 12 poggia
il rispetto degli obiettivi di riduzione del deficit scritti nei
documenti di finanza pubblica, e “vigilati” da un’Europa dove
trovare nuovi spazi di flessibilità sarà molto più difficile
rispetto al passato recente; e c’è in lista anche il rinnovo dei
contratti del pubblico impiego, con un costo netto per lo Stato da
almeno due miliardi”.
Infine,
per ciò che riguarda le previsioni tendenziali di finanza pubblica,
si conferma la stima di indebitamento netto della PA per il 2018
dell’1,6 per cento del PIL, che scenderebbe allo 0,8 per cento del
PIL nel 2019 e a zero nel 2020, trasformandosi quindi in un surplus
dello 0,2 per cento del PIL nel 2021.
Dunque,
si prevede un percorso virtuoso di riduzione dell'indebitamento
netto, ovvero la differenza tra le entrate finali, al netto della
riscossione dei crediti, e le spese finali, al netto delle
acquisizioni di attività finanziarie. In altri termini, le spese
tenderanno a essere pari alle entrate in modo da evitare un
incremento dello stock di debito, avviando quindi un processo di
riduzione del medesimo con conseguenti minori spese per il pagamento
degli interessi.
Ben
diversa sarebbe la prospettiva con un DEF che inglobi tutti gli
obiettivi auspicati da Pentastellati e leghisti, un DEF che, alla
luce della scarsità di coperture finanziarie, difficilmente potrebbe
passare il vaglio dell’Unione Europea (con la quale, qualunque cosa
si dica, in qualche modo dobbiamo continuare ad avere rapporti) e che
innescherebbe un processo di aumento del debito i cui oneri si
rifletteranno necessariamente sulle generazioni future. Vedremo,
dunque, quali saranno le prospettive di Governo nei prossimi giorni.