Il silenzio, a volte se ne avverte un estremo bisogno. Rinchiudersi
in una stanza, isolarsi, mettersi al riparo dal caos, dal vociare
confuso, dallo strepitare esaltato di gente che urla i fatti propri
al cellulare, dagli strombazzamenti quotidiani.
Un'oasi di tranquillità in cui rifugiarsi per difendersi, ma che
potrebbe anche rivelarsi un'arma a doppio taglio. Accade quando certi
fantasmi, certi pensieri iniziano a risvegliarsi, a riaffacciarsi
dagli angoli più reconditi della propria mente. Quando si sta in
silenzio nella propria stanza, si è da soli con se stessi, senza
filtri, maschere, condizionamenti. Si può anche essere tanto bravi
da mentire a se stessi, ma alla fine certi conti bisogna sempre
farli.
Il silenzio, quanti scrittori si sono occupati di lui. Da Josè
Saramago che afferma che "forse solo il silenzio esiste
davvero" a Giacomo Leopardi per cui "il silenzio è
il linguaggio di tutte le forti passioni, dell'amore (anche nei
momenti dolci) dell'ira, della meraviglia, del timore", per
passare da Erich Maria Remarque, "il silenzio fa sì che le
immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una enorme
sconsolata malinconia".
Nella sua essenzialità, quasi banalità, mi colpisce questa frase
dello scrittore britannico Charles Caleb Colton: "quando non
hai niente da dire, non dire niente". Davvero fondamentale,
il silenzio, quello opportuno di chi farebbe meglio a tacere, sui
social soprattutto, invece che alimentare continue polemiche basate
sul nulla e diffondere notizie false, favorendo la disinformazione.
Il concerto di Vasco Rossi e la morte di Paolo Villaggio,
ultimamente, sono stati esempi eclatanti di occasioni in cui coloro
che interpretano i propri gusti personali come diktat da
imporre a tutti avrebbero fatto meglio a rimanere in silenzio.
Ovviamente, occasioni irrimediabilmente perse.
Infine, il silenzio, quando davvero non hai più parole. Perché
ricordi quel tuo vecchio compagno di scuola, un ragazzo educato con
il quale ogni tanto studiavi e organizzavi lavori di gruppo; lo
ricordi con piacere, anche se lo avevi perso di vista dopo la scuola,
magari lo incontravi ogni tanto, semplicemente un "ciao" e
un sorriso. Sapevi che poco più che ventenne aveva iniziato a
lottare contro un male dal quale difficilmente si sfugge, un male che
ogni volta sembrava attutito, ma poi si ripresentava più forte di
prima. Non lo vedevi, ma lo accompagnavi con il pensiero e speravi
per lui. Ma quando ieri ti hanno detto che ha smesso di lottare, non
ti è rimasto altro che il silenzio.