giovedì 12 ottobre 2017

Una fiducia di troppo

Fiducia è un termine di cui ultimamente si sta parlando molto. Si continua ad asserire che il popolo ha ormai perso fiducia nei suoi rappresentanti politici e, per questo, è sempre più preda del potere demagogico. Nel frattempo, il Governo continua imperterrito a chiedere fiducia su qualsiasi provvedimento abbia in mano, da ultimo sulla legge elettorale. Si parla di assalti alla democrazia, di Governi non eletti, tanti slogan buttati qua e là e sui quali ogni tanto bisognerebbe fare qualche approfondimento, anche solo per chiarirsi le idee.
Partiamo da alcune certezze. Il Parlamento è l’unico organo costituzionale eletto dal popolo ed è, quindi, espressione della volontà collettiva. Secondo la Costituzione (art. 67), rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza alcun vincolo di mandato. Il suo compito essenziale è svolgere la funzione legislativa.
Anche il Governo, organo costituzionale non eletto dal popolo, ma nominato dal Presidente della Repubblica secondo determinate procedure, esercita, oltre al potere esecutivo, anche la funzione legislativa entro determinati limiti. Infatti, può:
  • emanare decreti legge, ovvero provvedimenti necessitati e urgenti che devono essere convertiti in legge entro i successivi sessanta giorni;
  • emanare decreti legislativi in attuazione dei principi e criteri direttivi sanciti dal Parlamento con apposite leggi delega;
  • presentare disegni di legge di propria iniziativa alle Camere.
A proposito della famigerata fiducia, è la legge n. 400 del 1988, che disciplina l’attività di Governo, a prevedere tale strumento: il Consiglio dei ministri esprime l'assenso alla iniziativa del Presidente del Consiglio dei ministri di porre la questione di fiducia dinanzi alle Camere e delibera sulle questioni su cui il Governo chiede la fiducia del Parlamento. È evidente che la fiducia dovrebbe essere posta essenzialmente su questioni attinenti il programma di Governo.


L’attività legislativa del Parlamento può subire accelerazioni, mediante procedimenti abbreviati e l’approvazione diretta dei disegni di legge da parte di Commissioni permanenti (art. 72). Tali procedure abbreviate non sono, però, ammissibili in alcune materie, tra cui i disegni di legge in materia costituzionale, elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi. Secondo la legge n. 400 del 1988 (art. 15) in tali materie non è, ovviamente, consentito al Governo di provvedere tramite decreti legge.
Dunque, un attento esame della normativa costituzionale e ordinaria ben consente di chiarire che la materia elettorale, data la sua particolare delicatezza e il suo orizzonte temporale che va oltre quello dell'attività di un Esecutivo, non può formare oggetto di procedimenti abbreviati che possano rischiare di compromettere il dibattito parlamentare, né può essere attratta nella sfera di competenza governativa tramite decreti necessitati e urgenti. In poche parole, la legge elettorale, che disciplina i meccanismi di espressione della volontà popolare, non può che essere frutto di un adeguato dibattito di un Parlamento che di quella volontà popolare è il risultato.
Il ricorso alla fiducia, pur se giustificato dall’esigenza di superare situazioni di stallo o di ostruzionismo, non può considerarsi, almeno a mio avviso, corretto e coerente con il quadro sopra delineato, per cui coloro che in queste ore stanno portando avanti le proprie lamentele non hanno, poi, tutti i torti da un punto di vista strettamente procedurale.
Eppure, mi verrebbe da chiedere loro perché in tutto questo tempo il Parlamento non è riuscito a esprimere una propria volontà su tale argomento con le ordinarie procedure. Se un organo legislativo nel suo complesso non è in grado di produrre un risultato su un tema tanto importante, forse ciascun componente dovrebbe iniziare a fare un serio esame di coscienza sulla propria capacità di rappresentare la volontà popolare. Ma forse qui chiediamo troppo.