Che
questa campagna elettorale si sia rivelata assai imbarazzante è
ormai opinione diffusa. Condotta in un clima di generale esaltazione,
ha visto i suoi candidati lasciarsi andare a promesse poco concrete,
se non del tutto irrealizzabili, a dichiarazioni quantomeno fuori
luogo, a infinite strumentalizzazioni. Sicuramente pure in passato,
nella recente storia repubblicana, abbiamo assistito a tornate
elettorali caratterizzate dal “mercato delle vacche”, ma
in questi giorni la tensione degli elettori, ormai stanchi, è stata
palpabile.
Abbiamo
assistito, tra l’altro, al comizio di un aspirante Presidente del
Consiglio dei Ministri che ha giurato come premier, oltre che sulla
Costituzione, anche sul Vangelo con tanto di rosario in mano (testi
di cui probabilmente ignora la maggior parte dei contenuti),
dimenticandosi che, se anche un giorno il Presidente della Repubblica
dovesse malauguratamente affidargli tale incarico (perché secondo la
nostra Costituzione la procedura è questa), si troverebbe a
governare all’interno di uno Stato laico, che, pur riconoscendo la
libertà di qualunque confessione religiosa, deve assicurare i
diritti civili di tutti e mantenere la propria indipendenza rispetto
alla Chiesa.
Per
non parlare, poi, di un altro aspirante alla carica di Primo
Ministro, che ha deciso di portarsi avanti stilando la propria lista
dei Ministri e cercando di consegnarla a Mattarella.
Come
sopravvivere al 4 marzo? In queste ultime ore ho cercato di chiarirmi
le idee sulle modalità di voto dando un’occhiata agli elementi
fondamentali della legge elettorale che dovrebbero potersi così
riassumere:
- si prevede un sistema misto: l’assegnazione di 232 seggi alla Camera e di 116 seggi al Senato è effettuata in collegi uninominali, in cui viene eletto il candidato più votato. I rimanenti seggi delle circoscrizioni del territorio nazionale (386 e 193, rispettivamente per la Camera e per il Senato) sono assegnati con metodo proporzionale in collegi plurinominali in cui sono proclamati eletti i candidati della lista del collegio plurinominale secondo l’ordine di presentazione, nel limite dei seggi cui la lista ha diritto;
- si può votare con diverse modalità: qualora si decida di apporre un solo segno, si può votare il candidato del collegio uninominale (il cui voto viene automaticamente esteso alla lista o in proporzione alle liste della coalizione) oppure il partito e la lista dei candidati nel collegio plurinominale; si possono, in alternativa, apporre due segni, votando il candidato del collegio uninominale e scegliendo una delle liste che lo appoggiano;
- non è previsto il voto disgiunto, per cui non è possibile votare contemporaneamente il candidato al collegio uninominale di una determinata coalizione e un partito che si collochi al di fuori di quella coalizione.
Una
volta chiarite le modalità di voto, vi sono alcune questioni che mi
piacerebbe approfondire tra le varie promesse elettorali. In
particolare, ha attirato la mia attenzione la proposta di riforma
fiscale avanzata dalla coalizione di centrodestra, incentrata sulla
cosiddetta “flat tax”. In assenza di una proposta
normativa definita nel dettaglio, ci si può basare soltanto sulle
indiscrezioni emerse dalle promesse elettorali, ovvero un sistema di
tassazione del reddito delle persone fisiche basato su di un’unica
aliquota al 23 per cento, con una “no tax area”, ovvero
l’esenzione totale per la fascia di reddito più bassa.
Di
fronte a una proposta del genere occorre chiedersi, anzitutto, se vi
sia compatibilità con il dettato di cui all’articolo 53 della
Costituzione che recita così: “Tutti sono tenuti a concorrere
alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il
sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Un veloce esame della giurisprudenza costituzionale, con contestuale
ripasso degli studi di scienza delle finanze (grazie anche a
interessanti articoli rinvenuti sul web) mi ha consentito di arrivare
a determinate conclusioni.
In
particolare, la Costituzione prevede che si debba garantire la
progressività del sistema tributario nel suo complesso, al fine di
assicurare il riequilibrio sociale e il rispetto del principio di
uguaglianza di cui all’articolo 3. Infatti, secondo quanto
affermato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce (si veda la
n. 128 del 1966), “la norma costituzionale non vieta che i
singoli tributi siano ispirati a criteri diversi da quello della
progressività, ma si limita a dichiarare che il sistema tributario
deve avere nel suo complesso un carattere progressivo. Ed invero -
nella molteplicità e varietà di imposte, attraverso le quali viene
ripartito fra i cittadini il carico tributario - non tutti i tributi
si prestano, dal punto di vista tecnico, all'adattamento al principio
della progressività, che - inteso nel senso dell'aumento di aliquota
col crescere del reddito - presuppone un rapporto diretto fra
imposizione e reddito individuale di ogni contribuente”.
Secondo
le indicazioni del Giudice costituzionale, i tributi che consentono
di realizzare tale progressività sono, quindi, le imposte dirette,
che colpiscono le manifestazioni della capacità contributiva come il
reddito o il patrimonio. Con imposte indirette come l’IVA, che
colpiscono, invece, manifestazioni indirette di ricchezza come il
consumo, si può soltanto procedere con l’applicazione di aliquote
ridotte che tutelino l’uso di beni di prima necessità.
La
progressività, a sua volta, applicata all’imposta sul reddito, può
essere ottenuta in due differenti modi:
- Con aliquote crescenti all’aumentare del reddito (suddiviso in classi o scaglioni);
- Con aliquote costanti e l’applicazione di deduzioni e detrazioni progressive.
Attualmente,
l’IRPEF prevede la suddivisione dell’imponibile in cinque
scaglioni di reddito cui si applicano aliquote che vanno da un minimo
del 23 per cento a un massimo del 43 per cento, l’esenzione sotto
una certa soglia di reddito e l’applicazione di detrazioni e
deduzioni essenzialmente di carattere proporzionale. Qualora si
volesse passare a un sistema di tipo “flat tax” con
aliquota unica, il rispetto del principio costituzionale di
progressività potrebbe, quindi, essere garantito soltanto
dall’applicazione di detrazioni e deduzioni di carattere
progressivo.
Il
sistema ventilato dalla coalizione di centrodestra, prevedendo
l’applicazione di un’aliquota del 23 per cento (che corrisponde
all’aliquota minima attualmente vigente e che per Salvini dovrebbe,
addirittura, scendere al 15 per cento) con l’introduzione di
detrazioni e deduzioni soltanto per i più poveri, non mi pare molto
coerente con il principio di progressività, oltre a essere
insostenibile sotto il profilo finanziario. È, infatti, abbastanza
evidente che l’impatto sul bilancio statale sarebbe notevole, con
un forte abbattimento delle entrate tributarie e un incremento del
deficit e del debito pubblico.
Secondo
i fautori di tale riforma, l’obiettivo sarebbe quello di favorire
la classe media garantendo il recupero dell’evasione. Tuttavia,
come ci ricordano gli esperti di economia, tale recupero non può
essere ottenuto semplicemente riducendo le aliquote di un’imposta
sul reddito, trattandosi di un tributo che la maggior parte dei
dipendenti non ha alcuna possibilità di evadere, mentre coloro che
riescono in tale intento truffaldino non sono certamente indotti al
pagamento da un’aliquota più bassa. Un sistema che preveda
un’aliquota unica più alta (magari con una maggiorazione che
colpisca i redditi particolarmente elevati), ma che introduca un
adeguato e progressivo sistema di detrazioni e deduzioni, tale da
indurre il contribuente a pretendere l’emissione di ricevute e
scontrini, avrebbe un impatto migliore sui conti pubblici,
soprattutto grazie al recupero del gettito dell’imposta sul valore
aggiunto, che, ricordiamo, è l’imposta maggiormente soggetta a
evasione.
Infine,
un'ultima questione in materia di cultura. Tra le varie
strumentalizzazioni che hanno caratterizzato questo periodo
elettorale non si può dimenticare la polemica sollevata da Giorgia
Meloni, leader di Fratelli d'Italia, nei confronti del Direttore del
Museo Egizio, Christian Greco, reo di aver adottato una campagna
promozionale in favore di coloro che parlano lingua araba,
consentendo alle coppie di entrare pagando un solo biglietto e di
utilizzare altri servizi del museo, come le audioguide in lingua
araba. Secondo la Meloni, si tratterebbe di una campagna razzista e
discriminatoria verso gli italiani. Un esponente del suo partito
avrebbe, poi, ventilato l'ipotesi di cambiare i direttori dei musei,
una volta al Governo.
In
proposito, bisogna ricordare, anzitutto, quanto stabiliscono gli
articoli 9 e 33 della Costituzione ovvero: “La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione”; “L'arte e la scienza sono libere e libero
ne è l'insegnamento". La Costituzione, quindi, tutela la
cultura quale bene fondamentale, ne proclama l'assoluta libertà
nelle sue varie espressioni, garantendo l'autonomia delle strutture
che si dedicano alla sua promozione. L'intervento pubblico non può,
quindi, intaccare la libertà di chi fa cultura o ricerca, per cui
un'attività promozionale della Repubblica deve sempre ricercare un
equilibrio costituzionalmente compatibile con tale libertà.
Ciò
premesso, se una struttura museale decide di adottare iniziative
promozionali in favore di certi segmenti della società, volte a
favorire il loro avvicinamento al mondo culturale, come nel caso del
Museo Egizio, non si può certo parlare di forme di discriminazione,
trattandosi, piuttosto, di attività rientranti negli ambiti di
libertà di promozione della cultura di cui alle disposizioni sopra
enunciate. D'altronde, qualora un museo comunale dovesse decidere di
far pagare un biglietto ridotto ai residenti, nessuno si sognerebbe
di ritenere tale iniziativa discriminatoria nei confronti dei non
residenti o dei turisti. L'obiettivo evidente sarebbe, infatti,
quello di avvicinare alle bellezze artistiche e culturali di un
determinato posto coloro che vi risiedono stabilmente e che,
probabilmente, tendono a darle per scontate. Vietare una campagna
promozionale, come quella adottata dal Museo Egizio, inficerebbe, in contrasto con il principio di libertà culturale, la
possibilità di adottare qualsiasi altra iniziativa (ad esempio,
ingresso dimezzato per le coppie il giorno di San Valentino, sconto
per le donne per la festa dell'8 marzo, sconti per gli studenti) che
non sia giustificata dalle esigenze di riequilibrio sociale di cui
all'articolo 3 della Costituzione.
Le
minacce di sostituzione del Direttore del Museo Egizio (poi smentite)
ovviamente sono cadute nel vuoto, considerato che il Direttore è
stato nominato tramite un bando e non è certo scelto dal Governo.
Eppure non si può non sottolineare la tristezza di tale inutile
ripicca: per rivalsa politica si stenta a riconoscere i grandi meriti
di un professionista molto preparato, tra i pochi in Italia, che ha
consentito al proprio Museo di realizzare invidiabili traguardi, e si
arriva addirittura a minacciare di sostituirlo. Davvero noi italiani
meritiamo di essere governati da gente di siffatta specie?