mercoledì 28 febbraio 2018

Focus di attualità – Costituzione, promesse elettorali, tasse e cultura

Che questa campagna elettorale si sia rivelata assai imbarazzante è ormai opinione diffusa. Condotta in un clima di generale esaltazione, ha visto i suoi candidati lasciarsi andare a promesse poco concrete, se non del tutto irrealizzabili, a dichiarazioni quantomeno fuori luogo, a infinite strumentalizzazioni. Sicuramente pure in passato, nella recente storia repubblicana, abbiamo assistito a tornate elettorali caratterizzate dal “mercato delle vacche”, ma in questi giorni la tensione degli elettori, ormai stanchi, è stata palpabile.
Abbiamo assistito, tra l’altro, al comizio di un aspirante Presidente del Consiglio dei Ministri che ha giurato come premier, oltre che sulla Costituzione, anche sul Vangelo con tanto di rosario in mano (testi di cui probabilmente ignora la maggior parte dei contenuti), dimenticandosi che, se anche un giorno il Presidente della Repubblica dovesse malauguratamente affidargli tale incarico (perché secondo la nostra Costituzione la procedura è questa), si troverebbe a governare all’interno di uno Stato laico, che, pur riconoscendo la libertà di qualunque confessione religiosa, deve assicurare i diritti civili di tutti e mantenere la propria indipendenza rispetto alla Chiesa.
Per non parlare, poi, di un altro aspirante alla carica di Primo Ministro, che ha deciso di portarsi avanti stilando la propria lista dei Ministri e cercando di consegnarla a Mattarella.

Come sopravvivere al 4 marzo? In queste ultime ore ho cercato di chiarirmi le idee sulle modalità di voto dando un’occhiata agli elementi fondamentali della legge elettorale che dovrebbero potersi così riassumere:
  • si prevede un sistema misto: l’assegnazione di 232 seggi alla Camera e di 116 seggi al Senato è effettuata in collegi uninominali, in cui viene eletto il candidato più votato. I rimanenti seggi delle circoscrizioni del territorio nazionale (386 e 193, rispettivamente per la Camera e per il Senato) sono assegnati con metodo proporzionale in collegi plurinominali in cui sono proclamati eletti i candidati della lista del collegio plurinominale secondo l’ordine di presentazione, nel limite dei seggi cui la lista ha diritto;
  • si può votare con diverse modalità: qualora si decida di apporre un solo segno, si può votare il candidato del collegio uninominale (il cui voto viene automaticamente esteso alla lista o in proporzione alle liste della coalizione) oppure il partito e la lista dei candidati nel collegio plurinominale; si possono, in alternativa, apporre due segni, votando il candidato del collegio uninominale e scegliendo una delle liste che lo appoggiano;
  • non è previsto il voto disgiunto, per cui non è possibile votare contemporaneamente il candidato al collegio uninominale di una determinata coalizione e un partito che si collochi al di fuori di quella coalizione.


Una volta chiarite le modalità di voto, vi sono alcune questioni che mi piacerebbe approfondire tra le varie promesse elettorali. In particolare, ha attirato la mia attenzione la proposta di riforma fiscale avanzata dalla coalizione di centrodestra, incentrata sulla cosiddetta “flat tax”. In assenza di una proposta normativa definita nel dettaglio, ci si può basare soltanto sulle indiscrezioni emerse dalle promesse elettorali, ovvero un sistema di tassazione del reddito delle persone fisiche basato su di un’unica aliquota al 23 per cento, con una “no tax area”, ovvero l’esenzione totale per la fascia di reddito più bassa. 
Di fronte a una proposta del genere occorre chiedersi, anzitutto, se vi sia compatibilità con il dettato di cui all’articolo 53 della Costituzione che recita così: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Un veloce esame della giurisprudenza costituzionale, con contestuale ripasso degli studi di scienza delle finanze (grazie anche a interessanti articoli rinvenuti sul web) mi ha consentito di arrivare a determinate conclusioni.
In particolare, la Costituzione prevede che si debba garantire la progressività del sistema tributario nel suo complesso, al fine di assicurare il riequilibrio sociale e il rispetto del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3. Infatti, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce (si veda la n. 128 del 1966), “la norma costituzionale non vieta che i singoli tributi siano ispirati a criteri diversi da quello della progressività, ma si limita a dichiarare che il sistema tributario deve avere nel suo complesso un carattere progressivo. Ed invero - nella molteplicità e varietà di imposte, attraverso le quali viene ripartito fra i cittadini il carico tributario - non tutti i tributi si prestano, dal punto di vista tecnico, all'adattamento al principio della progressività, che - inteso nel senso dell'aumento di aliquota col crescere del reddito - presuppone un rapporto diretto fra imposizione e reddito individuale di ogni contribuente”.
Secondo le indicazioni del Giudice costituzionale, i tributi che consentono di realizzare tale progressività sono, quindi, le imposte dirette, che colpiscono le manifestazioni della capacità contributiva come il reddito o il patrimonio. Con imposte indirette come l’IVA, che colpiscono, invece, manifestazioni indirette di ricchezza come il consumo, si può soltanto procedere con l’applicazione di aliquote ridotte che tutelino l’uso di beni di prima necessità.
La progressività, a sua volta, applicata all’imposta sul reddito, può essere ottenuta in due differenti modi:
  • Con aliquote crescenti all’aumentare del reddito (suddiviso in classi o scaglioni);
  • Con aliquote costanti e l’applicazione di deduzioni e detrazioni progressive.
Attualmente, l’IRPEF prevede la suddivisione dell’imponibile in cinque scaglioni di reddito cui si applicano aliquote che vanno da un minimo del 23 per cento a un massimo del 43 per cento, l’esenzione sotto una certa soglia di reddito e l’applicazione di detrazioni e deduzioni essenzialmente di carattere proporzionale. Qualora si volesse passare a un sistema di tipo “flat tax” con aliquota unica, il rispetto del principio costituzionale di progressività potrebbe, quindi, essere garantito soltanto dall’applicazione di detrazioni e deduzioni di carattere progressivo. 
Il sistema ventilato dalla coalizione di centrodestra, prevedendo l’applicazione di un’aliquota del 23 per cento (che corrisponde all’aliquota minima attualmente vigente e che per Salvini dovrebbe, addirittura, scendere al 15 per cento) con l’introduzione di detrazioni e deduzioni soltanto per i più poveri, non mi pare molto coerente con il principio di progressività, oltre a essere insostenibile sotto il profilo finanziario. È, infatti, abbastanza evidente che l’impatto sul bilancio statale sarebbe notevole, con un forte abbattimento delle entrate tributarie e un incremento del deficit e del debito pubblico. 
Secondo i fautori di tale riforma, l’obiettivo sarebbe quello di favorire la classe media garantendo il recupero dell’evasione. Tuttavia, come ci ricordano gli esperti di economia, tale recupero non può essere ottenuto semplicemente riducendo le aliquote di un’imposta sul reddito, trattandosi di un tributo che la maggior parte dei dipendenti non ha alcuna possibilità di evadere, mentre coloro che riescono in tale intento truffaldino non sono certamente indotti al pagamento da un’aliquota più bassa. Un sistema che preveda un’aliquota unica più alta (magari con una maggiorazione che colpisca i redditi particolarmente elevati), ma che introduca un adeguato e progressivo sistema di detrazioni e deduzioni, tale da indurre il contribuente a pretendere l’emissione di ricevute e scontrini, avrebbe un impatto migliore sui conti pubblici, soprattutto grazie al recupero del gettito dell’imposta sul valore aggiunto, che, ricordiamo, è l’imposta maggiormente soggetta a evasione. 


Infine, un'ultima questione in materia di cultura. Tra le varie strumentalizzazioni che hanno caratterizzato questo periodo elettorale non si può dimenticare la polemica sollevata da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, nei confronti del Direttore del Museo Egizio, Christian Greco, reo di aver adottato una campagna promozionale in favore di coloro che parlano lingua araba, consentendo alle coppie di entrare pagando un solo biglietto e di utilizzare altri servizi del museo, come le audioguide in lingua araba. Secondo la Meloni, si tratterebbe di una campagna razzista e discriminatoria verso gli italiani. Un esponente del suo partito avrebbe, poi, ventilato l'ipotesi di cambiare i direttori dei musei, una volta al Governo.
In proposito, bisogna ricordare, anzitutto, quanto stabiliscono gli articoli 9 e 33 della Costituzione ovvero: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”; “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento". La Costituzione, quindi, tutela la cultura quale bene fondamentale, ne proclama l'assoluta libertà nelle sue varie espressioni, garantendo l'autonomia delle strutture che si dedicano alla sua promozione. L'intervento pubblico non può, quindi, intaccare la libertà di chi fa cultura o ricerca, per cui un'attività promozionale della Repubblica deve sempre ricercare un equilibrio costituzionalmente compatibile con tale libertà.
Ciò premesso, se una struttura museale decide di adottare iniziative promozionali in favore di certi segmenti della società, volte a favorire il loro avvicinamento al mondo culturale, come nel caso del Museo Egizio, non si può certo parlare di forme di discriminazione, trattandosi, piuttosto, di attività rientranti negli ambiti di libertà di promozione della cultura di cui alle disposizioni sopra enunciate. D'altronde, qualora un museo comunale dovesse decidere di far pagare un biglietto ridotto ai residenti, nessuno si sognerebbe di ritenere tale iniziativa discriminatoria nei confronti dei non residenti o dei turisti. L'obiettivo evidente sarebbe, infatti, quello di avvicinare alle bellezze artistiche e culturali di un determinato posto coloro che vi risiedono stabilmente e che, probabilmente, tendono a darle per scontate. Vietare una campagna promozionale, come quella adottata dal Museo Egizio, inficerebbe, in contrasto con il principio di libertà culturale, la possibilità di adottare qualsiasi altra iniziativa (ad esempio, ingresso dimezzato per le coppie il giorno di San Valentino, sconto per le donne per la festa dell'8 marzo, sconti per gli studenti) che non sia giustificata dalle esigenze di riequilibrio sociale di cui all'articolo 3 della Costituzione.
Le minacce di sostituzione del Direttore del Museo Egizio (poi smentite) ovviamente sono cadute nel vuoto, considerato che il Direttore è stato nominato tramite un bando e non è certo scelto dal Governo. Eppure non si può non sottolineare la tristezza di tale inutile ripicca: per rivalsa politica si stenta a riconoscere i grandi meriti di un professionista molto preparato, tra i pochi in Italia, che ha consentito al proprio Museo di realizzare invidiabili traguardi, e si arriva addirittura a minacciare di sostituirlo. Davvero noi italiani meritiamo di essere governati da gente di siffatta specie?



venerdì 2 febbraio 2018

La fine di un lungo intenso gennaio

Gennaio sembrava non finire mai, l'ho sentito dire spesso in giro, e non solo quest'anno, da chi ha tirato poi un sospiro di sollievo una volta strappato il foglio dal calendario per scoprire le ventotto (o ventinove) caselle del mese successivo. Forse a causa dell'influenza che non demorde o per il trauma causato dall'interruzione delle vacanze natalizie, non potrei dirlo con certezza.
In effetti, anche io ho avuto tale impressione, pur se con qualche differente connotazione: in questo mese che inaugura il nuovo anno il tempo sembra davvero dilatarsi, espandersi, procedere con una cautela guardinga, quasi con paura che sopraggiunga quel febbraio talmente breve da far volare il tempo lungo tutti gli altri mesi dell'anno. È questo, almeno, il modo in cui gennaio mi appare.
In una simpatica vignetta del compianto fumettista Charles M. Schulz, il cane Snoopy sembra quantomeno "sconvolto" dalla notizia che febbraio è ormai giunto. Un sentimento che condivido con il piccolo brachetto.


Tale sensazione di tempo dilatato e rallentato non è stata, dunque, per me così spiacevole. Anzi, favorevoli sentimenti mi hanno accompagnato, soprattutto in questo principio di 2018. Lo ricordo bene, avevo iniziato il nuovo anno con un particolare entusiasmo, pervaso dal desiderio, o forse dall'illusione, di intravedere continuamente buoni auspici che avrebbero potuto illuminarmi e indirizzarmi meglio lungo un percorso di dodici mesi da costruire ogni giorno. L'entusiasmo tipico di una fase iniziale tende, però, ad affievolirsi col trascorrere dei giorni, dei mesi, quasi sfuggendo di mano, nel momento in cui ci si lascia avvolgere dal grigiore quotidiano. È faccenda questa purtroppo nota a noi essere umani spesso fragili e volubili. Da qui quella paura di cui sopra, che febbraio sopraggiunga, quel timore che mi ha spinto quasi ad aggrapparmi al 31 gennaio per non farlo fuggire via con tutte le sue illusioni. Un 31 gennaio che ovviamente non poteva che passare e andare oltre.
Parlo del mese di gennaio e di quella sensazione di tempo dilatato e mi viene in mente una strana associazione di idee; rivolgo il mio pensiero a quella che non può che essere considerata la principale fase iniziale nella vita di una persona, la giovinezza adolescenziale, un'età assai cruciale per il suo coacervo di aspettative, illusioni, speranze, timori.
Ricordo quegli anni come un tempo che trascorreva lentamente, sospeso tra la voglia di godere ancora di quella spensieratezza, il desiderio di andare avanti, crescere, diventare indipendenti e affrontare nuove esperienze, misto alla paura di imbattersi in profonde delusioni, con il disperato tentativo di aggrapparsi ancora a qualcosa che sta fuggendo via.
Può sembrar strano pensare a gennaio come a una "fase adolescenziale" del nuovo anno, eppure credo che l'associazione non suoni tanto male. Le sensazioni, seppure nelle dovute proporzioni, mi appaiono simili. Vi è certamente una costante, la cui enunciazione può apparire banale, ovvero che, per quanto dilatato, il tempo non può fare a meno di scorrere senza tregua. Ma vi è anche la piccola soddisfazione di pensare che gennaio, con il suo piccolo pacchetto di illusioni e buoni auspici, in fondo, al contrario dell'adolescenza, si ripresenta puntualmente ogni anno.