sabato 13 maggio 2017

Ospitalità e intolleranze quotidiane

Le recenti parole pronunciate da Debora Serracchiani sono ormai abbastanza note. Praticamente, a suo avviso, uno stupro è sempre un atto odioso, ma se commesso da un rifugiato, è moralmente e socialmente più inaccettabile.
Io credo che queste parole, più che razziste, debbano considerarsi inopportune. Si tratterebbe, infatti, di un ragionamento basato su una certa filosofia secondo cui il sentire comune avvertirebbe come particolarmente fastidiosa l'ingratitudine di un ospite. E, a mio avviso, questo ragionamento è connotato da una certa ipocrisia.
Se, per un atto spontaneo di generosità o in forza di eventi contingenti, dovessi decidere di ospitare un forestiero nella mia casa, sarei ben consapevole di non potermi davvero fidare a occhi chiusi di lui, non avendolo mai visto prima, a meno che io non sia completamente ingenuo o fuori dal mondo. In tal caso, cercherei di stare attento, adotterei le mie precauzioni e, qualora il mio ospite dovesse rivelarsi davvero un delinquente e dovesse, comunque, commettere un reato a mio danno, lo denuncerei in modo che paghi per il male commesso. Di certo, non cadrei dalle nuvole urlandogli scandalizzato "che ingrato!", considerato che, nel momento in cui ho deciso di dargli ospitalità, ero consapevole del rischio che potevo correre. Oltretutto, saprei bene che un criminale non ha certamente a cuore il valore della gratitudine.
Allo stesso modo, uno Stato che apre i propri confini e fa entrare persone provenienti da Paesi in guerra, disperati che fuggono dalla povertà oppure immigrati in cerca di lavoro, dovrebbe sapere bene che non tutti sono brave persone, che tra di loro vi saranno alcuni delinquenti come accade in tutte le popolazioni. Il rischio esiste, per cui quando un rifugiato o un immigrato commette un crimine, è abbastanza ipocrita e inutile parlare di "rottura di un patto di accoglienza" o di violazione di valori, considerato che, come ho detto prima, nessun criminale, italiano o straniero, ha davvero desiderio di rispettare quei valori. L'ipocrisia è ancora più evidente se si pensa che chi fugge spesso lo fa perché nel suo Paese c'è una guerra che le stesse forze occidentali hanno contribuito a fomentare. E di certo l'Italia non è esente da colpe.


Certamente, lo stupro è sempre un crimine odioso e, dovendo operare una differenziazione, io direi che è moralmente e socialmente più inaccettabile (e in alcuni casi penalmente più grave) una violenza perpetrata da chi ha la piena fiducia della vittima (un parente, un amico, un insegnante, un prete), a prescindere dalla sua nazionalità.
In ogni caso, si deve pretendere da tutti, in maniera indistinta, il rispetto delle regole giuridiche e morali, per cui non è accettabile l'affermazione secondo cui "ho accolto il rifugiato, mi aspetto quindi da lui il massimo rispetto delle regole", perché potrebbe lasciare intendere che non si pretende lo stesso rispetto delle regole dagli altri, dando adito alla becera mentalità secondo cui, se stupra l'immigrato deve essere linciato, se stupra l'italiano figlio di buona famiglia, è solo una ragazzata.
Le frasi della Serracchiani sono inopportune anche perché, se un politico lancia un proclama "lo stupro è più grave se lo commette un rifugiato", finisce per assecondare i pregiudizi di tutti coloro che cercano di utilizzare gli immigrati come capro espiatorio per ogni problema al fine di ottenere consenso, che pensano che siano gli unici a delinquere o che vengano in Italia per rubarci il lavoro.
Infatti, se l'immigrato che sta nel mio quartiere cerca di integrarsi pulendo le strade, mentre la giunta comunale latita, allora tutti si precipitano a dire che c'è un racket dietro; se un immigrato ha un lavoro e un reddito, allora secondo qualche quotidiano, certamente troverà il trucchetto per pagare un centinaio di euro di tasse in meno. Tutto questo, mentre diversi italiani evadono per miliardi ed esportano capitali all'estero.
Nessuno nega che esista un problema di gestione dei flussi immigratori, ma i problemi di certo non si risolvono con i proclami inutili e dannosi che fomentano i pregiudizi e agevolano i procacciatori di voti.



Qui sotto l'estratto di un precedente post: chiaramente le riflessioni sono molto simili

La terra è un solo paese, siamo onde dello stesso mare (pubblicato in data 12 giugno 2016)

Pochi giorni fa un mio amico ha pubblicato su Facebook questa foto scattata nel Parco Sigurtà, antico giardino nei pressi di Peschiera del Garda, le cui origini risalgono al 1400.
La foto ritrae una targa con un chiaro messaggio di fratellanza "La terra è un solo paese, siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino".


Dovrebbe essere davvero così, la terra dovrebbe essere un unico paese senza rigidi confini in cui vivere in pace, ma sappiamo bene che la Storia è costellata di guerre fratricide, lotte per la conquista del potere, genocidi, discriminazioni razziali. E si può certamente affermare che gli insegnamenti che la Storia ci ha tramandato non sempre sono stati ben assimilati, considerato il dilagare di nostalgici nazionalisti che mirano a minacciare l'integrazione europea faticosamente raggiunta.
Oggi la situazione dei migranti che fuggono dalla povertà e, soprattutto, dalla guerra non può lasciarci indifferenti. È abbastanza chiaro e pacifico che il problema non sia di facile soluzione e che non possa essere affrontato solo dall'Italia. Ma costruire muri, fatti soprattutto di odio, non è degno di un genere che ha ancora la pretesa di definirsi umano.
Ci sono tanti pregiudizi nei confronti degli stranieri che arrivano in Italia, pregiudizi che dovremmo incominciare a mettere da parte. Anzitutto, non tutti gli immigrati vengono qui per delinquere, come è solito pensare chi "fa di tutta un'erba un fascio". Ci sono sicuramente soggetti pericolosi o malintenzionati, ma questi individui si trovano in tutte le popolazioni, inclusa quella italiana, e spesso occupano posizioni al di là di ogni sospetto. Certamente, se iniziassimo a mandar via o a punire seriamente tutti coloro che compiono atti illeciti (stranieri e non), il Parlamento italiano rimarrebbe semivuoto.
Si dice sempre, poi, che gli stranieri vengono qui a rubarci il lavoro. In realtà, mi viene da pensare che quasi sempre finiscono per fare quei lavori che gli Italiani si rifiutano ormai di svolgere o per i quali non sono sempre all'altezza. Ricordo che tempo fa l'impresa che ha realizzato alcuni lavori a casa nostra mandò un muratore rumeno che svolse il suo operato in maniera precisa, ineccepibile, sicuramente meglio di ciò che avrebbero potuto fare i colleghi nostrani. In ogni caso, gli immigrati finiscono spesso per diventare preda degli sfruttatori e vengono utilizzati per lavori di fatica con paghe miserevoli, per non parlar di altro. Basta guardare la situazione di Rosarno.
Infine, una frase che si sente spesso pronunciare negli ultimi tempi è "aiutiamoli a casa loro". In proposito, Giuseppe Civati ha pubblicato di recente sulla sua pagina Facebook questo grafico (tratto dalla Stampa), in cui risulta abbastanza chiaro che, pur in presenza di una legge del 1990 sul controllo delle armi, che ne vieta l’esportazione in Paesi in cui è in corso un conflitto armato, ancora oggi l’Italia vende pistole e fucili in numerosi Paesi. Questa tendenza è aumentata dal 2009, per cui l’Italia ha venduto armi soprattutto in Medio Oriente e nel Nordafrica, regioni tra le più turbolente, mentre le autorizzazioni del Parlamento sono aumentate. Come giustamente sottolineato da Civati, "per la serie: «aiutiamoli a casa loro». Con le bombe. Intanto manca completamente la trasparenza, la serietà, la politica. Poi dopo ci si sorprende delle migrazioni forzate, delle tragedie umanitarie, dei campi profughi, della tensione che non si abbassa mai".
Se è vero che dal 2009 questa tendenza è aumentata con il beneplacito del Parlamento, occorrerebbe ricordare a Salvini, che continua a diffondere messaggi razzisti e xenofobi, che il suo partito faceva parte della maggioranza di Governo in quegli anni. Le morti dei profughi in mare dovrebbero cominciare a pesare sulle coscienze di chi ha favorito questo commercio.

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