È trascorso quasi un anno dal brutale assassinio di Sara di
Pietrantonio, quel terribile episodio che ha profondamente scosso
l'opinione pubblica. Sara si era innamorata, aveva provato brividi e
sentimenti tipici di una storia appena sbocciata. Poi, però, le cose
erano andate diversamente. Lei aveva capito che i sentimenti
possono finire e le storie avere un termine, ma il suo ex fidanzato
Vincenzo non aveva alcuna intenzione di farsene una ragione. Pensava
che lei fosse di sua proprietà e che nessuno avrebbe mai potuto
prendere il suo posto o avvicinarla. E così, una terribile sera di
giugno, Sara è stata uccisa e il suo corpo è stato dato alle
fiamme. Una morte crudele procurata da un essere privo di coscienza.
Della morte di Sara avevo parlato l'anno scorso, soffermandomi
sull'indifferenza di coloro che quella sera non si erano fermati ad
aiutarla e sui problemi di una società che spesso non riesce a
provare empatia per il prossimo. Tuttavia, adesso il tema è un
altro.
L'assassino di Sara è stato condannato all'ergastolo e, salvo
successivi sconti, pagherà la giusta pena per ciò che ha commesso.
Molte persone, a tale annuncio, hanno reclamato l'introduzione della
pena di morte per un reato del genere, ma io non sono assolutamente
d'accordo. E non lo dico semplicemente per un motivo religioso, pur
essendo convinto che nessuno abbia il diritto di provocare la morte
di un altro, qualunque cosa abbia fatto, salvo rari casi. Sono
contrario alla pena di morte perché credo che la detenzione in
carcere debba servire al condannato a ripensare spesso a ciò che ha
commesso, al dolore che ha provocato ai familiari della propria
vittima, alla crudeltà con cui ha annientato una vita.
Sono pienamente d'accordo, poi, con coloro che affermano che il
carcere non debba in generale avere una funzione meramente punitiva,
quasi fosse una vendetta o una rivalsa della società nei confronti
del condannato, considerato che, come recita l'articolo 27 della
nostra Costituzione, le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato. Una rieducazione necessaria ai fini della futura
reintroduzione dei carcerati nella società.
Mi
chiedo, comunque, se il carcere potrà riuscire davvero a svolgere
questa funzione rieducativa nei confronti di Vincenzo. Di fronte a un
ragazzo che ha agito con tanta crudeltà e che non ha mostrato alcun
segno di pentimento, mi riesce davvero difficile pensare ad un suo
futuro reinserimento nella società. Di certo, dovrà ripensare al
male compiuto, anche se questo non consentirà ai genitori di Sara
di riavere indietro la loro ragazza.
Qui
sotto l'estratto del precedente post inizialmente pubblicato nel blog
"Un faro nella nebbia" e sopra citato
La
vera indifferenza (pubblicato in data 8 giugno 2016)
In questi giorni, il terribile omicidio di Sara ha notevolmente
scosso l'opinione pubblica che ormai si esprime quasi principalmente
attraverso i social. La mia impressione, condivisa anche da altri
utenti, è che le principali invettive questa volta siano state
indirizzate, almeno in una prima fase, alle auto che quella maledetta
sera sfrecciavano veloci, indifferenti alle richieste di aiuto della
ragazza.
Io mi auguro, invece, che non si dimentichi mai, anche se sono
trascorsi alcuni giorni e la coscienza popolare sembra essersi
tranquillizzata, che la povera Sara è stata l'ennesima vittima di
quella terrificante "cultura" della violenza e del
maschilismo di coloro che credono di poter disporre degli altri come
fossero oggetti.
Addossare gran parte della responsabilità ai passanti, che non si
sono fermati per paura o incapacità di realizzare cosa stesse
realmente accadendo, significa distogliere l'attenzione dal vero
problema della inarrestabile violenza contro le donne e, più in
generale, contro tutti coloro che non sono in grado di difendersi.
Persone come Sara andrebbero aiutate prima di ritrovarsi sul ciglio
di una strada a fuggire da un maniaco incendiario o in preda ad un
compagno folle che fa bere loro soda caustica per farle abortire,
come accaduto in provincia di Bologna.
Io credo, poi, che la vera indifferenza più che tra quei
passanti, debba essere ricercata altrove, assieme ai motivi da cui
questa indifferenza trae origine.
Non condivido l'affermazione secondo cui è la società che ci ha
resi ciechi e indifferenti, perché si tratta di una banalità
sconcertante: siamo noi a creare la nostra società e possiamo
migliorarla grazie al contributo collettivo, considerato che le
istituzioni sociali non sono una mera entità esterna che ci viene
imposta dall'alto. Affermare che la colpa è tutta della società
significa semplicemente tentare di lavarsi la coscienza.
La vera indifferenza sta nella incapacità di ciascuno di noi di
capire se le persone che ci sono vicine ogni giorno hanno realmente
bisogno di aiuto. Questo non vuol dire necessariamente dar loro un
po' di denaro, perché a volte è sufficiente una parola di sostegno
o di conforto. Non significa nemmeno diventare eroi - come diceva
Manzoni, se uno il coraggio non ce l'ha non se lo può dare – anche
se certamente acquisire quella consapevolezza che ci porta a chiamare
le forze dell'ordine ogni volta che avvistiamo una situazione di
pericolo potrebbe essere già un bel traguardo.
Quando il Papa ha parlato di indifferenza, molti si sono
concentrati su alcune sue parole, ritenendo che stesse invitando i
fedeli a non amare gli animali, mentre il suo vero obiettivo era far
comprendere che spesso siamo talmente presi dalle nostre vite che ci
dimentichiamo di chi ci sta vicino.
Un episodio di alcune settimane fa, cui i notiziari hanno dato
solo un breve cenno, è un esempio drammatico della vera
indifferenza. Un uomo è stato ritrovato in casa morto da almeno
cinque anni. Nel frattempo, nessuno si era accorto di nulla, né si
era chiesto cosa fosse accaduto a quell'uomo che non si faceva vedere
da anni. I vicini non hanno mai pensato di andare a bussare a quella
porta per chiedere se ci fosse bisogno di aiuto. Una perdita d'acqua
e il successivo intervento dei vigili del fuoco hanno rivelato quella
situazione di estrema solitudine e abbandono.
Credo che questo non sia un caso isolato, chissà quanti episodi
simili, seppure non così estremi, si verificano quotidianamente. Ma
difficilmente potremmo saperlo con certezza, perché questi episodi
generalmente non fanno notizia, se non poche righe nei giornali
locali, e non finiscono in pasto agli pseudo moralisti da salotto che
dalle loro comode posizioni non fanno altro che condannare la società
senza poi compiere alcuna azione concreta per cambiarla.
Questa frase di Einstein dice più di tanti discorsi.
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