domenica 26 febbraio 2017

Alla disperata ricerca di un eroe

Negli ultimi tempi ho avuto modo di riflettere spesso sulla strana tendenza italiana a ricercare affannosamente eroi e modelli di vita in qualunque settore (anche grazie agli spunti forniti da un articolo dell'Huffington Post di qualche tempo fa, di Riccardo Brizzi - 27 dicembre 2016).
Se, come affermava Bertold Brecht, è "sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi", allora il nostro Paese può considerarsi assai sventurato. Ci sono, infatti, vari elementi che ci inducono a cercare un eroe.
La sensazione di vivere in una società priva di valori, in preda alla malvagità e alla corruzione, ci spinge a cercare persone che incarnino gli ideali che riteniamo perduti. Inoltre, la paura di cui ormai siamo circondati a causa dei continui attacchi terroristici ci induce ad individuare chi possa in qualche modo proteggerci dandoci una sensazione di sicurezza.
Questa continua ricerca dell'eroe si rivela spesso errata e fallimentare, soprattutto perché l'eccessiva idealizzazione porta ad aspettative elevate che il più delle volte rimangono disattese. E l'errore si rivela fatale quando si scambia per l'eroe perfetto e irraggiungibile colui che nella sua limitata umanità ha semplicemente compiuto il suo dovere e, magari, non è alla ricerca di gloriosi fasti.


Pensiamo all'episodio dei due poliziotti che hanno ucciso il terrorista di Berlino (citato anche nell'articolo di cui sopra). Due ragazzi di turno si imbattono casualmente in un pericoloso terrorista senza immaginare neanche lontanamente chi sia veramente. Cercano di trattenerlo per i controlli di rito, ma finiscono per ingaggiare con lui uno scontro a fuoco in cui il terrorista rimane ucciso e uno dei due poliziotti viene ferito.
Da qui partono gli sperticati elogi verso i due agenti, che insieme ad altri svolgono quelle operazioni tutti i giorni, con la pericolosa decisione di diffondere i loro nomi e il tentativo di dar loro onore e gloria imperitura. Anche per avere qualcosa di cui essere orgogliosi nei confronti della Germania, che si ritiene in dovere di concedere un'onorificenza tanto da noi agognata.
Poi, all'improvviso, dagli altari si ripiomba nella polvere. Gli eroi non sono così perfetti come si credeva, nelle loro pagine Facebook si mostrano come razzisti e dediti all'adorazione della mussoliniana figura. Dunque, niente onori e nessuna gloria.
Certamente tali convinzioni politiche non incontrano affatto il mio gradimento, ma non posso fare a meno di pensare che, se i social non fossero esistiti o se i due ragazzi non avessero avuto una pagina Facebook visibile al pubblico, nessuno avrebbe saputo nulla di tali "ideali". In effetti, quando abbiamo bisogno di soccorso, non chiediamo a poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri se per caso hanno tendenze razziste o fasciste, accettiamo il loro aiuto e basta e li ringraziamo per questo.
A parte ciò, credo che il tentativo di eroizzazione e personalizzazione sia stato fallimentare in sé. Piuttosto che concentrarsi sugli onori e sull'orgoglio italico con la diffusione di nomi e l'invocazione di onorificenze, si poteva semplicemente pensare ad un modo per ringraziare (materialmente) le Forze dell'Ordine nel loro complesso, sia per il lavoro svolto che per i pericoli quotidianamente affrontati. Invece, l'ostinata ricerca degli eroi ha finito per calpestare quanto di buono fatto.


Tuttavia tale ricerca, nonostante i fallimenti, non conosce sosta e continua tramite i media indagando in altri settori, tra cui il pubblico impiego, con esiti ancor più disastrosi. Certamente, l'opinione pubblica è scossa dalle notizie dei cosiddetti "furbetti del cartellino", che figurano al proprio posto di lavoro, ma poi sono in giro a fare gli affari propri con la complicità di colleghi.
Nel tentativo di convincere il popolo che non tutti i pubblici impiegati sono fannulloni, televisioni e giornali vanno alla ricerca del lavoratore modello, non semplicemente colui che fa il suo dovere tutti i giorni, ma lo stakanovista che non prende mai un giorno di ferie (come il dipendente siculo salito sul palco di Sanremo che, secondo ultime indiscrezioni, sarebbe un alto dirigente!!!) o che non si ammala mai o non fa nemmeno una pausa pranzo (come il dipendente parmense). I giornali elogiano tali "modelli" senza considerare che ferie, malattie e pausa pranzo sono diritti costituzionalmente e statutariamente garantiti, frutto di decennali lotte sindacali (gli stessi giornali che giorni prima si erano giustamente scandalizzati per l'operaio costretto a farsi addosso, non avendo nemmeno la possibilità di andare in bagno).
In questo modo, l'opinione pubblica potrebbe per assurdo convincersi che esistono solo i due estremi, i fannulloni e gli stakanovisti, ignorando tutti coloro che svolgono il proprio lavoro con dedizione, ma che, in quanto esseri umani, hanno bisogno di riposo e pause, si ammalano ogni tanto e usufruiscono, quindi, dei propri diritti. Quei diritti che i giovani precari vedono con il binocolo, ma che hanno tutte le ragioni di pretendere, senza subire i ricatti morali di chi spaccia per modelli coloro che tali non sono. Allora smettiamo di cercare gli eroi e pensiamo alle persone normali, anche se fanno meno notizia!

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