Il
27 gennaio è il giorno in cui nel 1945 le truppe dell'Armata Rossa
liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Il giorno in cui
venne svelato al mondo, tramite le testimonianze dei sopravvissuti,
un orrore che mai si sarebbe potuto compiutamente immaginare, pur nel
disastro di due guerre consecutive. E tale data rimane, quale
Giornata della Memoria, a ricordare perpetuamente fino a che punto la
malvagia e folle mente umana possa spingersi nell'annientare i propri
simili.
Questo
è un periodo in cui l'intolleranza fascista sempre più insistentemente
sembra voler tornare a farsi sentire. E persino colui che vorrebbe
candidarsi alla guida di una Repubblica antifascista e dovrebbe
giurare di osservarne lealmente la Costituzione, si permette di dire
che "il fascismo ha fatto cose buone". "Cose
buone", un termine che in tanti continuano a ripetere,
un'espressione che ha il sapore di una terribile mistificazione, un
intollerabile mezzo per giustificare le azioni di un dittatore
assetato di potere che ha contribuito all'eccidio di milioni di
persone.
Tale
recente triste realtà è stata fortunatamente illuminata da una
saggia decisione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
che da poco ha nominato senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta
all'Olocausto e attivamente impegnata nel diffondere la testimonianza
di quegli orrori.
Un'attività
sicuramente ancora importante, considerato quanto si fatica a
superare una certa mentalità pregna di intolleranza. Infatti, in
questo periodo un episodio in particolare ha riportato alla luce
talune riflessioni sul significato di "razza": il candidato
alla Presidenza della Regione Lombardia, in merito alla questione
della regolazione dei flussi immigratori, ha parlato di rischio di
sopravvivenza della "razza bianca", utilizzando un termine
che molti credevano superato. Lo stesso candidato ha affermato che in
fondo anche nella Costituzione, all'articolo 3, si parla di "razza"
e che quel termine in un certo senso lo ha aiutato nei sondaggi
elettorali. L'ottusità di certe persone può apparire sconvolgente,
ma sappiamo che si tratta di un male comune che arriva da lontano.
L'idea
che la specie umana potesse essere divisa in razze, intese come
raggruppamenti caratterizzati da tratti fisici comuni e comportamenti
ben definiti, nacque nel periodo postcoloniale per ragioni
prettamente politiche. Vi era alla base di tale concezione l'ipotesi
secondo cui le evidenti differenze fisiche tra i gruppi umani che
popolavano le varie aree del pianeta, che erano frutto di adattamenti
all'ambiente, implicassero anche profonde differenze psicologiche e
comportamentali. Seguendo tale ipotesi si riteneva possibile operare
distinzioni e classificazioni delle diverse popolazioni mondiali.
In
quel periodo l'Occidente aveva iniziato a invadere ogni angolo del
mondo seguendo la propria sete di dominio. Mentre gli antropologi
cercavano di formulare una catalogazione delle presunte razze senza
rinvenire alcuna evidenza scientifica, l'idea di "razza" fu
sufficiente a dare avvio alla deportazione delle popolazioni africane
negli Stati Uniti per ridurle in schiavitù, in conseguenza della
loro presunta appartenenza a una razza ritenuta intellettualmente
inferiore. Tali stereotipi continuarono a rafforzarsi fino a condurre
alle leggi che vietavano i matrimoni misti. E l'atteggiamento di
Hitler verso gli ebrei non fu certo dettato da criteri diversi.
Successivi
studi dimostrarono come l'antropometria (la catalogazione delle
misure e delle proporzioni del corpo al fine di definire le razze
mediante un insieme preciso di numeri e statistiche) fosse totalmente
priva di fondamento. In particolare, gli studiosi scoprirono che tra
una generazione e l'altra vi erano numerose differenze, per cui i
parametri, sulla cui base si pretendeva di catalogare le razze, si
modificavano di valore con il trascorrere delle generazioni. Gli
studi sul DNA hanno mostrato come le differenze tra essere umani in
termini genetici siano assai minime e che ciascun gruppo in cui si
pretendeva di suddividere la popolazione mondiale manteneva in sé la
gran parte della variabilità genetica.
La
suddivisione in razze è dunque priva di ogni fondamento scientifico
e le differenze genetiche non hanno alcun collegamento con l'aspetto
fisico che dipende soltanto da adattamenti alle condizioni
ambientali.
A
proposito della Costituzione, anche l'Istituto Italiano di
Antropologia, tempo fa, ha sottolineato il fatto che l'articolo 3
della Carta fa riferimento al termine "razza", ritenendo
debba essere modificato in quanto scientificamente improprio, per
essere sostituito con altre espressioni (aspetto fisico, colore della
pelle, tradizioni culturali).
Ma è
davvero necessario adottare altre espressioni in Costituzione? Io
credo di no e ritengo che non ci si debba nemmeno sforzare
nell'interpretare quel termine attribuendo ad esso un significato
diverso da quello che l'ottusità umana ha elaborato nel corso dei
secoli. La parola "razza" è stata scritta in quella
precisa accezione di cui parlavo sopra e non perché i Padri
Costituenti fossero realmente convinti che la medesima avesse un
qualche fondamento. Il termine è lì per ricordare l'orrore di chi,
nella convinzione che una razza, quella ariana in particolare, fosse
superiore alle altre, ha ritenuto di poter decidere della vita e
della morte di altri esseri viventi condannandoli a una straziante
sequenza di dolore. E i nostri Padri Costituenti, sancendo il
principio generale per cui non vi deve essere alcuna distinzione di
razza, hanno inteso contrastare qualsiasi discriminazione basata
sulla suddivisione del genere umano in ipotetiche categorie di
"inferiori" e "superiori". Perché se la l'idea
di razza è stata ripudiata dal mondo scientifico, ancora persiste
nella mentalità di molte persone.
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